Thursday, December 11

ubi sunt






Questa foto segna un confine.
Qualcosa evidentemente non tornerà mai più.
Ogni cosa sembra sospesa, le braccia del pilota sono tranquille, mille interrogativi e mille problemi attendono tutti al varco ma il cielo, da quassù, è ampio e pulito. C'è un momento in cui le cose non sono più come prima, e quest'immagine lo segnala in modo dirompente. Questa foto è un simbolo, il ricordo di un mondo senza paura.
Molti dei pensieri che affiorano guardandola sono illusione. Le immagini non portano con sè una verità, evocano una presenza, ed evocare è quanto di più lontano da una sana oggettività. Ma la nostra testolina lavora così, da sempre.
E se anche esistesse una realtà oggettiva dietro a questa foto, qualcuno ha i mezzi per coglierla? Qualcuno l'ha registrata da qualche parte? La sua entità è qualcosa di misurabile? Vedete, questo discorso sta sconfinando nella metafisica.
La verità di questa foto, qualunque fosse, è già fuggita via. Non si può misurare con precisione il momento in cui qualcosa cambia. L'attimo dopo esser stato impresso sulla pellicola, il mondo era già diverso. Ti accorgi che qualcosa è cambiato, ma è già troppo tardi per capire quando è successo.



Thursday, November 13

in cima alla collina



KK vorrebbe che tutto durasse per sempre. Vorrebbe cristallizzare il mondo com’era da bambini. Invece no. Anche la vita felice è sofferenza. Chi ci ha dato il diritto di ridere? Eppure troviamo i momenti per farlo. Dimentichiamo volontariamente tutto il male che potrebbe distrarci e ci occupiamo d’altro. Quei momenti non durano granchè. Nessuna cosa dura, ma noi dietro a rincorrere. 
Una bella scoperta, le persone muoiono. Bisogna vendere la casa. Che ne sarà dei mobili? E dei cassetti con la biancheria? Tutte le cose intorno si impregnano di senso. Scacciarlo è impossibile. Nemmeno si può bruciar tutto. Finchè rimane qualcuno, a rimandare come uno specchio l’immagine degli altri che non ci sono più, gli oggetti continuano ad avere un senso. Quando non c’è più nessuno specchio, semplicemente non c’è più niente da vedere.


Un’estate di tanti anni fa, in Toscana, nella sera tiepida e profumata di campagna, i nonni giocavano a carte sul vialetto davanti a casa. La notte era tranquilla, sotto la luce arancione del lampione vedevo muoversi animaletti notturni. Si sentivano i grilli, e i rospi in qualche rivo d’acqua. La notte poteva non finire mai, come la fila di lampioni che illuminava la via in salita. Avanzando, il fascio di luce arancio si affievoliva fino a raggiungere quello spazio in penombra dove stava in agguato la notte; ma proprio lì, prontamente iniziava il lampione successivo. In cima alla salita, la strada finiva. L’ultimo lampione illuminava fin dove poteva, oltre c’era il buio, e un bosco nero, sibilante alla brezza della sera. Quella collina era il Poggio. Ora hanno costruito graziose villette, e da qualche parte là in alto una selva di ripetitori garantisce a tutti la visione del tg della sera. Quando la nonna era piccola, quella collina era un posto fuori dal paese dove nascondersi. C’era un podere. La nonna mi ha raccontato che quando dormivano tutti nella stalla, col buio pesto e il pavimento duro, la cosa più paurosa era uscire a fare pipì. Bisognava fare presto e stare attenti a non pestare delle serpi. In ogni caso, si sperava sempre di non incontrare dei tedeschi, che hanno quella parlata così cattiva. Questa cosa è rimasta addosso a molte persone dalla guerra. Per molti, ancora oggi, la lingua tedesca genera un terrore senza fine. Così, sessant’anni fa, la nonna se ne stava chiusa assieme a tutti gli altri, a sentire il rumore degli aerei che sganciavano bombe sulle dolci colline della val d’Orcia. Come cambiano le cose. Ora i tedeschi sono pacifici turisti con gli occhi azzurri e ridicoli sandali, che passeggiano ammirati per le stradine di Montalcino. Ogni volta, ogni maledetta volta, io scruto i loro occhi in cerca di qualcosa. Sono azzurro ghiaccio e non vi trovo niente. Sono azzurro ghiaccio e a volte sentendosi osservati accennano un sorriso. Gli pianto addosso i miei occhi neri e faccio domande silenziose. Nessuno risponde. Le rondini gridano nel cielo, tutto il resto è di una tranquillità disarmante. La primavera in Toscana è così abbagliante che i tedeschi saranno rimasti stupefatti, nell’aprile del ’45. La nonna mi ha raccontato di quando un americano aveva portato a loro bambini una tavoletta di cioccolato. La nonna aveva detto che era un ragazzo giovane e che aveva sorriso; e che era il primo soldato che vedevano che fosse attrezzato di tutto punto. Come cambiano le cose. La casa dei nonni che stava sulla collina, da cui si vedeva Montalcino, è stata venduta. Proprio davanti, dove prima era un prato incolto, ne hanno costruita un’altra che ostruisce la vista. Gli amici con cui i nonni giocavano a carte, non ci sono più. Il nonno non c’è più. Nella notte, sulla strada in salita, la fila di lampioni c’è ancora, ad illuminare la via deserta, finchè in cima non c’è improvvisamente il buio. Tutta la tranquillità di quella sera d’estate a giocare a carte, tutta la felicità dello stare lì con i nonni, tutta la mia e la nostra infanzia, è scomparsa nell’oscurità in cima alla collina. Voglio credere che sia solo nascosta, che sia solo invisibile ai miei occhi e che un giorno arriverò in cima alla strada e sarò capace di saltare nel buio. Negli occhi azzurri dei tedeschi non riesco a scorgere odio. Ora la luna piena mi guarda dalla finestra e sembra che se la rida alla grande. Della mia irrequietezza, non sembra curarsi. Domando invano dove fugge la felicità che credevamo di tenere così stretta in pugno. Ma la notte è così tranquilla, forse non è il caso di disturbare. Di quel che sarà di noi, nel buio in cima alla collina, nessuno può saper nulla. 

Tuesday, November 11

domande


Quando succedono le cose, io non ci sono mai. Dove sarà lei, adesso?
Anni fa, ricordo di essere stata svegliata nel cuore della notte dal citofono che suonava impazzito; qualcuno l’aveva incastrato, e io uscii in pigiama nella notte gelida di dicembre per farlo smettere. Le strade erano bianche di neve appena scesa. Saranno state le tre, guardai il cielo ed era pieno di stelle fredde e lucenti. Forse lui moriva allora. La mamma mi chiamò la mattina presto. Ero sveglia perché era domenica, e dovevo andare a sciare. Ero sveglia e seduta al tavolo della cucina con nessuna voglia di prepararmi e uscire. Risposi al telefono e la mamma disse che il nonno era morto.
Dov’era adesso? Disse che era successo la notte. Non c’era già più, quand’ero uscita nella strada deserta per il citofono? Perché uno scherzo proprio quella notte?
Parlai con la mamma e poi misi giù il telefono. La cucina era silenziosa, fredda, fuori era ancora buio. La giornata non aveva più senso. Tutto sarebbe continuato come se niente fosse, nel mondo là fuori. Ma io non sapevo dove fosse il nonno, e per questo ogni cosa divenne semplicemente assurda. Era tutto previsto, era tutto pronto. Ma anche questo pensiero non ha più valore. Chi c’era con lui in quel momento?
Avevo pensato contro la mia volontà alla morte in un pomeriggio di molti mesi prima. L’avevo pensata come un’eventualità possibile, come una possibilità che diventava improvvisamente concreta. Ero nel salotto della nonna e mangiavo rabbiosamente dei pistacchi mentre tutti erano in cucina a parlare. Quella scatola di latta è ancora nella credenza della nonna. Ora ci mette delle nocciole, o delle mandorle. Ogni volta che vado a cercare la scatola mi ricordo di quel pomeriggio. La mia razionalità aveva provato a prevedere tutto, a percorrere in anticipo le strade possibili per soffrire di meno qualora le possibilità si fossero avverate. Un lavoro faticoso e al limite della schizofrenia. Penso le cose prima in modo da essere pronta. Le domande senza risposta non erano considerate nel mio piano, perché fanno perdere tempo. E in tutte queste faccende, nonostante questo continuo pensare, alla fine sembro sempre assente.
Quando succedono le cose, io non ci sono mai. Ultimamente è stata la voce della mamma a darmi le notizie tristi. La sua voce per telefono. Invece una volta mi ha chiamato una signora che non conosco e piangendo mi ha detto che sua madre era molto grave e voleva dirlo a mia mamma; ma lei non c’era. Allora le parlai un po’ io. Ero appena tornata dalla bici e vagavo per la casa parlando con una signora sconosciuta, e lei parlava con me da chissà quale triste corridoio di ospedale. Misi giù il telefono, e dopo dieci minuti di riflessioni più svariate tornai alla vita di prima.
Per ora non ancora, tuttavia in qualsiasi momento. Questo è il senso del mio pensare. Ma quando le cose accadono, si torna daccapo.
Saranno andati a casa, ora. Una tristezza impossibile da scacciare impregna la casa. Lo faceva già da mesi. La nonna è in un letto in una camera lunga e stretta, con la finestra alle spalle. Tutto è bianco, compresi i suoi capelli. Le sue mani hanno dita lunghe e curate. In che stanza la metteranno? Dovrò dormire qui? E dove metteranno me? Attimi di terrore. Il pensiero va oltre la sua esistenza materiale, come fa sempre, ma stavolta non ho voglia di seguirlo. Chi verrà? Da dove entreranno? Bisognerà stringere le mani a tante persone. Bisognerà dire grazie ed essere commossi.
Ricordo un giorno di tanti anni fa, alle medie, in cui eravamo d’accordo con altri compagni di andare a dormire da uno di loro. Prima però i miei compagni passarono a fare le condoglianze a casa di una loro amica. Gli era morto il papà. Era caduto nel bosco e l’avevano trovato dopo una settimana. Tutta la storia mi terrorizzò. Me ne stavo impalata all’ingresso della casa piena di persone silenziose, e vedevo i miei compagni abbracciare uno ad uno la loro amica, e ricordo di aver pensato chiaramente quanto tutto ciò fosse lontano da me, quanto io fossi incapace di avvicinarmi in quel modo alle persone. Quella notte dormii malissimo su un materassino da mare nella camera sovraffollata ma piena di amici e risatine. Molte delle notti successive, nel mi letto comodo, mi svegliai in preda al terrore. Ero nel bosco e non potevo andarmene.
Che cosa accadrà, alle paure che non riesco a scacciare?
È bene circondarsi di persone. Ci sono troppe domande senza risposta. Quando sono da sola le sento tornare da me.
Ora saranno a casa. Chiameranno il dottore. Il dottore scriverà una dichiarazione su un foglio come è stato per il nonno. Quel foglio è ancora in un cassetto, in una busta di plastica. Esiste un foglio dove sarà scritta la mia morte? Esiste già? Quando lo produrranno? Questa cosa mi assilla ogni volta che rivedo la cartelletta di plastica. È una dichiarazione come un’altra. Un addetto del comune la compilerà al computer e poi andrà a mangiare un panino in pausa pranzo. Poi cosa accadrà? Chiameranno le pompe funebri. È un lavoro come un altro, non è vero? È tutto normale, quindi perché tutte queste domande?

Monday, November 10

risposte a un funerale



Tempo fa in questa stessa stanza c’erano la nonna e una signora, e parlavano sommessamente nella penombra. Le persiane erano sempre a metà e io mi chiedevo perché. Appena fuori, il lungo pomeriggio estivo è solo all’inizio. La stanza è così scura, così poco illuminata, chiusa. La nonna sta sprofondata nella poltrona. Ricordo il lento movimento che faceva per alzarsi. Il salotto è quasi buio, ha una moquette verde scuro e muri ocra, e sopra perline di legno scuro. Che giorno è oggi? Non ricordo, ma io devo avere vent’anni. Sono ancora una bambina, in realtà. Le cose del mondo mi toccano appena, provocano stilettate di consapevolezza che mi lasciano confusa. Sono in piedi, la nonna alla mia sinistra nella poltrona, ricordo di aver guardato davanti a me, oltre la signora che parlava, e di aver osservato il sole caldo stendersi sulla pietra del terrazzo, ma lo vedevo opaco attraverso i ricami delle tende; ricordo di aver intuito come quel giorno fosse una testimonianza di qualcosa. Poi vidi chiaramente ogni cosa e ogni parola scomparire nel nulla.


***


Oggi hanno cercato di darmi delle risposte. Non ci sono riusciti.
Sono entrata nella cappella camminando su ciottoli chiari e lisciati da milioni di passi, caldi di sole.
Ho cercato di ricordare le domande.
La mia debolezza era fin troppo evidente. Nessuna risposta sarà mai sufficiente perché la mia verità è sempre e solo domanda.
Una giornata splendente aspettava tutti noi, e aspetterà ancora, attenderà che ce ne siamo andati per continuare, in una infinita ripetizione priva di senso.
Nella penombra della cappella tutto procede regolare, sembra che il perfetto ordine del rito cancelli la realtà, la renda meno triste, la renda giusta in quanto conforme a regole.
Così non è.

"Purificami O Signore"

Non avevo previsto che si mettessero a cantare. Riemergo dalla cappella, basta salire due gradini ed ecco il sagrato abbagliante di sole, seguo questo corteo come ne ho seguiti altri, seguo questo corteo e il cielo è così limpido e azzurro, e la giornata così tiepida, e mi ricordo all’improvviso che tante altre volte non ce l’ho fatta a seguire il corteo, a essere presente, altri morti non ce l’ho proprio fatta a lasciarli andare; oggi tornano tutti, ognuno è qui con me, l’ingiustizia e l’assurdità di ogni cosa mi sovrastano ma senza schiacciarmi, lasciandomi libera di muovermi, osservare, pensare: e per potermi meglio abbattere in quel giorno in cui non avrò difese.
Mi sento leggera, il canto è così dolce e così vero e io sento di essere debole davanti a tutto. Abbasso gli occhi sui ciottoli colorati, lisi da milioni di passi, persone che c’erano e adesso non più, e a quei passi aggiungo i miei, una manciata, inutili, intorno a me le statue, i parapetti in pietra, le montagne lontane e nitide nell’aria pulita, milioni di passi anche su di loro, nei boschi, sulle strade assolate dei valichi alpini, sull’asfalto caldo intorno al lago, felicità che sembra infinita, e poi altri monti, e ognuna di queste cose è così ignara di tutto, così estranea, e mi rendo conto con una punta di orrore che questa giornata nel suo splendore potrà ripetersi all’infinito anche quando i miei passi non ci saranno più, e io dove sarò, allora? È adesso così chiaro come il tempo non abbia per loro alcun senso, e non l’ha nemmeno per noi, e se è così noi siamo solo ridicoli esseri che tanto si agitano per un nonnulla, che ridono e pontificano senza saper di cosa parlano.

"Sarò più bianco della neve"

A queste parole ero già in un’altra dimensione. L’assurdo diviene forma precisa e tagliente, dolorosa, una lama che taglia la nostra esistenza, e che senso ha il bianco, il puro, che senso ha la colpa, non vedi che basta una fuggevole visione dell’assurdo perché il resto della vita divenga senza senso? Vorrei piangere ora perché mi sembra che ci sia qualcosa di profondamente ingiusto in tutta questa storia. Ingiusto in partenza. Purificami forse vuole dire lasciami andare, lasciami tornare alla terra, alla natura, all’inanimato. 
Ma perché, perché dovrei purificarmi da una colpa? Non basta questa scena e questo destino, questa giornata di sole persa per sempre, a rendere dolorosa e assurda ogni cosa, una volta per tutte? 
Uscirai da una cappella in una bara di legno ben levigata, ben fatta, lucida come un mobile, e dentro tessuti fini immagino, e i tuoi vestiti migliori, e forse ti metteranno un rosario tra le dita fredde, e ti porteranno a spalle sul sagrato invaso dal sole, e il sole sarà così prepotente, così forte e caldo e meraviglioso e continuerà imperterrito, e tu che lo amavi così tanto non potrai farci nulla, e quelli che amavano te così tanto guarderanno a terra e cammineranno, altri passi e altri canti, volteranno lo sguardo verso la valle e penseranno di essere soli al mondo, ma poi gli passerà, e poi a te non importerà più nulla, starai dormendo un sonno nero e senza sogni, non è così?

Tuesday, September 30

perchè



Mi hai abbracciato e non so il perché. Tu non lo sai, ma io di ogni gesto mi chiedo la ragione. Suppongo che in ogni gesto si possa leggere qualcosa, e la mia mente continua a cercare anche mentre io apparentemente penso ad altro.
Così nascono i sogni strani che mi capitano in questo periodo.
Io ti cerco, ti prendo il viso tra le mani e vorrei farti mio; tu sorridi e sembri cedere ma alla fine fuggi via. Immagino che tra noi sia successo proprio questo. C'era un vuoto e bisognava riempirlo. C'è stato un momento in cui le cose potevano essere perfette, se solo si avesse sempre il coraggio di fare le scelte giuste al momento giusto. Ma questo accade nel mondo ideale, quello dove noi ci raccontiamo l'ideale storia della nostra ideale vita, dove costruiamo immensi castelli fatti di categorie e di eventi possibili, a cui tutte le volte, inconsciamente, paragoniamo la nostra esistenza reale.
Nel mondo mio e tuo e di tutti gli altri, un anno fa, le cose sono andate in modo ben più confuso. La maggior parte di queste cose è accaduta in un luogo inaccessibile e a ben vedere inesistente, cioè la mia mente. Ho pensato e pensato e ragionato e calcolato all'inverosimile, mentre fuori accadevano cose, e più queste erano oscure e prive di dettagli più la mente lavorava per trovargli una collocazione nel castello di cui sopra.
La mia mania di mettere ordine non è servita a nulla. Tutto quel tempo a cercare di capire se non solo io ma anche tu avevi visto qualcosa, avevi sentito qualcosa, e poi in una sera e in una notte un fiume di risposte mi piombano addosso, ci piombano addosso, ma sono troppo concentrate, e così improvvise dopo tanto silenzio da sembrare irreali. Ci guardiamo nello specchio e tu mi dici qualcosa su di noi, su come potremmo essere. Ti guardo attraverso lo specchio, sorrido, e le persone fuori scompaiono. Poco dopo ce ne andiamo dalla confusione e nessuno vi fa caso.
Nel silenzio delle vie deserte, sotto le luci arancio dei lampioni, le risposte sono ora così chiare e abbaglianti da farmi quasi paura; ma tu sembri tranquillo, queste risposte che ora mi dai e che io do a te sono proibite, ma in questa notte in questo parcheggio non c'è nessuno, nessuno sembra conoscerci, le nostre storie fino qui sono come annullate, dimenticate, esiste solo l'attimo e in esso possiamo far finta che questa sia la nostra normalità, possiamo fingere di amarci da sempre, e fingere che quel che facciamo ora lo faremo anche domani e dopodomani, come in un gioco.
Per il tempo indefinito in cui durerà la nostra notte, quel che eravamo fino a ieri è sospeso, nel nostro attimo le identità si annullano, i significati si confondono, ed emerge una verità segreta ma potentissima perché a lungo nascosta e scacciata.
Ma la notte finisce, l'attimo se ne va, e ora io non so come devo guardarti perché non so se quel che è accaduto sia ancora una risposta valida, rappresenti ancora la verità di qualcosa. A tratti la vedo nei tuoi occhi, ma forse, di nuovo, è solo nella mia mente. Il più delle volte cerco di dimenticarmi per sempre la sensazione agrodolce di quell'attimo senza tempo e senza storia in cui ogni cosa era chiara e semplice e non aveva bisogno di essere pensata.
Ma di nuovo quella visione ritorna, ed è colpa tua che mi abbracci ridendo e colpa mia che ti stringo le mani e guardo i tuoi occhi, perché così facendo le risposte mi balenano di nuovo davanti improvvise e inafferrabili, la verità è di nuovo incerta, i sentimenti miei e tuoi confusi come non mai, e sembra che stiamo giocando sull'orlo del baratro pur sapendo che è un gioco destinato a finire. Ma io vorrei chiederti qualcosa, io vorrei capire, io voglio ancora quelle risposte che quella volta mi avevi dato candidamente, voglio quella verità racchiusa in un attimo fuori dal tempo.
Ma niente. È un pomeriggio di ottobre. Il sole se ne va lento e si adagia come una coltre tiepida su ogni cosa e su di noi, che stiamo appoggiati al balcone, vicini, e guardiamo il fiume scorrere placido in lontananza. Parliamo ma ogni cosa mi sembra irreale perché non contiene nessun indizio utile, e le mie parole mi sembrano inutili perché non vi è in esse alcuna domanda, e di conseguenza nessuna risposta. Un anno fa le cose sembravano più complicate, ma viste dalla prospettiva di oggi si tingono di una malinconia idilliaca. Ma l’esperienza insegna che accade sempre così.
A volte vorrei che il nostro gioco durasse in eterno, come la mia mente è abituata a pensarlo, come noi tutti siamo abituati a pensare le nostre simpatiche esistenze, mentre non è così: non vedi che d’un tratto tutto può piombare nel nulla, se dietro una curva un camion non ti vede, se quello nell’altra corsia si addormenta, oppure non si accorge che il semaforo è rosso, come nella canzone dei Beatles. E allora perché pensiamo sempre il nostro gioco come infinito,? Perché rimandiamo il momento di dire la verità pensando che quel momento esisterà sempre?

Thursday, June 19

december


Ricordi
Correvamo fianco a fianco
tu avevi quelle ciabatte di gomma
non sentivo alcuna fatica
Sorridevamo
Le persone intorno sembravano divertite
non capivano
erano da un’altra parte
La giornata stava finendo
una via in mezzo alla valle si sarebbe riempita di gente:
la notte era vicina
Ricordo
Di aver pensato che senso avesse
quella corsa
L’inverno era alle porte
Ma le mie gambe
andavano da sole
Pensare al passato
è sempre una cosa inutile
Ma tu
Stringevi la mia mano nella notte
Stampavi parole nella mia testa
mentre tutti erano soli.
Gesti normali ora mi perseguitano
Vorrei – mi vedo –
Camminare sola in quella via
deserta
in una vallata disabitata
bianca
Vorrei non incrociar nessuno
che dall’alto della sua felicità getti a me il suo sguardo
La verità è
Che non voglio più tornare dall'altra parte



Spring 2014


Tuesday, June 10

cupio dissolvi





Ho in mano una bic. Improvvisamente ricordo di quanto fosse bello disegnare con la bic nelle ore di scuola. Ha un tratto preciso e senza sbavature, non troppo lucido, scorrevole al punto giusto. Traccio un quadrato. Quante cose avrei voluto fare e non ho fatto. Quante cose vorrei fare ma mi sembra tardi, e poi ecco, penso che davvero sono una cogliona a pensare questo adesso. Perché io dovrei avere il mondo in pugno. Il mondo è tuo, me lo dicevano gli anziani quando ero piccola, ma io ho sempre riso. Cosa diavolo significa? Il mondo non è di nessuno, e io vorrei essere un filo d’erba o l’acqua di un fiume, dimentichi di sé e della vita intorno. Sento come una spinta a dissolvermi nella natura intorno a me. Suppongo sia questo quel che cerco nello sforzo fisico mentre alberi e foglie e animaletti sulla strada mi osservano assorti, immagino che in fondo vorrei sciogliermi sull’asfalto bollente di una strada in salita, sulla terra umida del sentiero, sulla terra scura tra rocce taglienti, e nella neve nascondermi per sempre.
Quando d’estate guardo il lago scuro, immagino il mondo buio che sta sotto le sue acque increspate: ne immagino i fondali spaventosi, le alghe che danzano sul fondo; poi mi tuffo, e l’acqua fredda attraversa il mio corpo come una scossa. Se apro gli occhi e guardo giù, un verde scurissimo mi si apre davanti, opaco, un verde incomprensibile e non amico, e sento chiaramente il freddo delle correnti profonde sfiorarmi i piedi, e allora mi volto a pancia in su: la montagna si staglia rassicurante e alta di fronte a me, delle case arrampicate sulla costa hanno grandi vetrate su cui si specchia il sole della sera, nel cielo le nuvole solitarie scorrono veloci, altissime, il vento è diventato brezza e l’acqua smette di muoversi. La riva è poco distante, sento le voci, qualcuno se ne andrà ora, qualcuno sarà felice; tutte le vite che sono qui oggi interpreteranno questo giorno e questi istanti in modo diverso per ognuno, ogni ora e ogni istante sono parte di mille storie differenti, ma seguire questo pensiero è decisamente troppo complicato, e un poco doloroso. La sera è placida, la gente se ne va; io e il mio corpo stiamo adagiati comodamente sul pelo dell’acqua, sospesi sull’abisso sconosciuto che sta sotto, e chissà che qualcosa non allunghi il braccio dal fondo e venga a farmi il solletico alla schiena, avresti paura, te la faresti sotto, non è vero KK? Eppure non c’è volta che non ci pensi, quando nuoti nell’acqua senza senso del lago. Ti chiedi che cosa mai nasconderà il fondo buio, e pensi intensamente che la stessa acqua che lambisce ora il tuo corpo indifeso tocca nello stesso istante anche le mille cose oscure che stanno nelle profondità del lago; e questo pensiero è fastidioso e attraente insieme, ma tu non hai paura, tu apri gli occhi e osservando l’abisso continui a nuotare, e a lottare, perché c’è una parte di te che vorrebbe andare a fondo, scomparire da questa sera e dall'estate calda, da tutte le persone che ami e non comprendi, dalle situazioni odiose che ancora si ripetono; sfuggire di colpo a tutti i maledetti casini che agitano la vita tua e di tutte le persone sulla riva, che però di tutto questo non sembrano preoccuparsi, o almeno non adesso. Ogni cosa è lontana. Vociare di bambini. C’è una parte di te che sussurra qualcosa e tu vorresti abbandonarti alla sua voce; ma ignori quella spinta, continui a nuotare, stai in superficie; eviti accuratamente di guardare troppo a lungo l'abisso verde scuro da cui un giorno mille mani si leveranno per sfiorarti le gambe e sorridere di te che non resisterai; ma oggi no.
Oggi distogli lo sguardo, tenti di dimostrare che sei più forte, che tra poco salterai fuori dall'acqua per tornare alla vita di tutti, tenti di convincerti che non hai mai pensato al fondo, alle mani, alla voce che nel buio chiamava il tuo nome, al piacere sottile e insensato nell'osservare quanto facilmente una vita può andarsene senza lasciare traccia; e a come sarebbe stato bello lasciare l'estate a metà, un assonnato pomeriggio cristallizzato per sempre, ripetuto all’infinito come una maledizione. Sorridi a questo pensiero. L’acqua è leggera, scivola via veloce, nasconde un piacevole silenzio ovattato ogni volta che metti sotto la testa. Il mondo fuori è amico, è tranquillo e felice nella calma sera di agosto, e se non avrai paura il lago si lascerà attraversare senza dir nulla e senza farti del male. Ancora una volta l’acqua silenziosa ti lascerà andare, ti lascerà riemergere sull’altra riva e scappar via, di nuovo salva.







Let me sleep.

nighthawks




Ti ho sognato, maledizione
Facevi cenno di sì con la testa
Sorridevi nella notte
ci dicevamo la verità
Mi prendevi tra le braccia
volevi solo me
Seguivano momenti confusi, eppure 
lucidi e perfetti
Poche volte un sogno è stato così reale
Ti appoggiavo la testa sul petto:
il cuore batteva lentissimo e io
ti guardavo perplessa






Wednesday, April 30

categorie



Per chi accetta di farsi sconvolgere da eros, le cose sono sempre, perennemente, irrisolte.
Chi accetta di nutrirsi della sua energia potente, deve accettare anche di cadere nel vuoto quando questa viene meno. Camminare sull’abisso è divertente fino a un certo punto. Costruire storie per sopravvivere può durare per un po’ ma è così maledettamente faticoso. 
Piango e non so davvero perché. Piango e vorrei dirlo a qualcuno. Tante belle parole e tanta fiducia negli altri e poi invece ecco, siamo di nuovo soli. Perché non può esserci un equilibrio? Dove se ne vanno i momenti perfetti in cui tutto corrisponde? Dov’è la tranquillità che sembrava di stringere definitivamente tra le mani e perché improvvisamente tutto diventa difficile?
Mi sono accorta che viviamo solo di categorie. Le categorie con cui ordiniamo il mondo, con cui ci hanno insegnato a ordinare il mondo, sono pure costruzioni, che offuscano e impongono un certo senso allo scorrere degli eventi, alle cose che accadono. Talvolta assumono più importanza le categorie delle cose che si vorrebbero categorizzare. Se io penso ad una cosa sommamente astratta, complicata e assurda come l’amore, le mie categorie mi dicono certe cose, e io ci credo, mi dicono quali forme e quali modi una cosa come l’amore può assumere; e se gli eventi della mia vita o le cose che mi succedono non vi corrispondono io vado in crisi, o penso di aver sbagliato qualcosa. Nei momenti di disperazione, quando il cervello si arrende e la smette di cercar soluzioni e palliativi per farmi galleggiare, penso di aver sbagliato tutto. Ma immagino sia tutta colpa delle categorie. Immagino che una buona parte della mia infelicità stia nel mio modo di pensare quel che avviene, nel mio modo di dare senso agli eventi, stia insomma nelle maledette categorie in cui ogni cosa che accade e che pensiamo viene schiacciata a forza, da sempre, da quando a scuola ci hanno insegnato a leggere e a scrivere, ma forse da prima, da quando le risposte degli adulti hanno assunto la rigida fissità propria della verità, e la verità stessa ha smesso di essere sempre ancora domanda.
Così, le nostre domande si sono esaurite, sono naufragate nelle risposte e han pensato che andasse bene così, che non ci fosse più bisogno di chiedere, o che chiedere fosse stupido. Nessuno da allora si è più domandato perché pensiamo alle cose proprio nel modo in cui ci pensiamo, e non in un altro. Nessuno si è più chiesto perché mai dobbiamo pensare a oggetti, eventi, concetti, a una cosa come l’amore, solo all’interno di categorie così ristrette e così stupide; stupide nel senso in cui sono stupidi  i computer, che non fanno che eseguire ordini macchinalmente, che si ostinano a ripetere un comando anche quando è fallimentare, che perseverano nell’errore e cadono in un loop, perché non sanno pensare se stessi.
E che dire delle nostre testoline, in cui si compie ogni giorno, per ogni storia, per ogni maledetta emozione, l’eterno ritorno dell’uguale; che dire delle nostre menti tanto brillanti che per un dettaglio insignificante si fanno rovinare la giornata, perché quel dettaglio, opportunamente categorizzato, costituisce un pezzo di informazione che riempie di un senso nuovo e nauseante sia il passato che il futuro, diventa così un dettaglio totalizzante, che ingombra come un peso morto il passaggio, il cervello, impedisce di vedere la varietà di soluzioni che il mondo fuori categoria offre, ma noi siamo ciechi, ma tu sei cieca KK, sbatti la testa sempre di nuovo nello stesso punto, cerchi spiegazioni sempre di nuovo negli stessi luoghi, usi ancora e ancora le medesime categorie che ieri e oggi ti hanno fatto stare male. Esci per un giretto a piedi e osservi tutti, persone, oggetti, animali, le carte per strada, con aria apocalittica. Le nuvole inquiete e gonfie di pioggia sono dalla tua parte, l’aria umida che sposta le foglioline nuove degli alberi è un presagio di qualcosa, ti fa pensare che tutto alla fine passa, che tutto a un certo momento finisce, te ne sei accorta due giorni fa quando sotto l’acqua e la neve hai imposto alla tua mente di stringere i denti e resistere, perché tutto finirà, che sia sofferenza, fatica, freddo; che sia felicità di un momento, farfalle nella pancia una sera di aprile, stendersi sul pelo dell’acqua al mare a mezzogiorno, l’aria calda nelle discese in bici.
Emerge da tutto questo una verità potente, e fuori categoria, che ha le sembianze di una legge cosmica; e dice che ognuna di queste cose, ognuna delle Cose, per quanto sembri non finire mai, a un certo punto non sarà più; e tu potrai guardarla da lontano, pensare alla distanza che ti separa da lei, pensare a come hai fatto a superarla o com’è stato possibile che se ne sia andata così in fretta. Di questa legge che spazza via le categorie, che sferza il sempre uguale come la piena di un fiume, si trovano tracce sorridenti in ogni cosa che esiste.

Adesso dalla finestra aperta entra l’aria della sera; il cielo è finalmente chiaro e pulito, ogni cosa del mondo sembra tornata al suo posto. È solo apparenza ma evidentemente è quanto basta. Capisco solo ora di essere io il problema; appare chiaro nella confusione della mia testa che io sono tutt’uno con quella legge e quella verità, che sono io l’acqua fredda di quel fiume, e che è la mia corrente a trascinare ogni cosa nella piena, indefinitamente, senza meta, in continuazione, senza mai fermarsi un attimo a pensare, senza mai fermarsi sull’argine del fiume a osservare la corsa, i ciottoli chiari, e il mondo indifferente tutt’intorno.


Monday, April 21



Rama e lo scoiattolo


"Colui che il mondo non teme
 e che non teme il mondo
 questi mi è caro."
(Bhagavad-gita, XII, 15)

Sunday, April 20

frattura



Improvvisamente non mi importa più di nulla. Non mi sento più in bisogno.
Chiamerò questo momento frattura. Per una volta uscire a far due passi in mezzo alla gente ha avuto un che di catartico.


KK fendeva la folla come un’imbarcazione sul mare. Le persone erano così lente, e così indecise, eppure così tranquille e sicure di essere pienamente nel giusto. Sono tutti con qualcuno, hanno tutti qualcuno su cui distribuire le loro attenzioni ed essere così meno soggetti agli sguardi altrui.
Ma una tranquillità del tutto inaspettata ha afferrato KK. Cammina in mezzo alla gente ma in realtà è stesa sul pelo dell’acqua, sul mare blu del mezzogiorno estivo. Osserva il cielo senza bisogno di pensare a niente. Spesso le sere d’estate le fanno il medesimo effetto. Spesso le sere in cui il vento gonfia il cielo di nuvole nere la rendono al contempo inquieta e sicura di sé, si offrono a lei come doni improvvisi e gratuiti, da cui attingere a piene mani.
KK fende come una lama la gente che cammina ignara, bambini, sorrisi di circostanza, auguri di buona pasqua, intanto il macello si è già consumato nel silenzio dei giorni passati ma qui non è giunto alcun grido.
Come siete vestiti bene, pensa KK. Com’è bello essere soli, in questo momento di osservazione. Le cose non sarebbero mai le stesse, l’occhio di KK non sarebbe lo stesso se con lei vi fosse qualcuno. Per la verità, e paradossalmente, è tutto il giorno che vorrebbe tanto essere con qualcuno, ma a sera finalmente un certo equilibrio si è ristabilito.
L’esistenza si materializza in un fiume di esseri umani che passeggiano lenti come fossero portati dalla corrente. Sono loro stessi un fiume, e KK si fa da loro trasportare, si abbandona al flusso, si guarda intorno, cerca appigli di senso nei volti, nelle case, nelle vetrine; quanta gente alla gastronomia, quanta gente nel negozio di intimo, quanti bambini che sembrano gli unici in grado di sfuggire al corso del fiume, vanno a zig-zag, fanno deviazioni improbabili, che KK osserva rapita; una bimba piccolissima si blocca in mezzo al flusso rischiando di far inciampare quelli che vanno diritti, che la schivano con un sorriso bonario, sono bambini pensano in silenzio, ma la piccola si guarda attorno trionfante, lei non è più nel flusso, lei è un ciottolo immobile in mezzo all’acqua che scorre, KK vede bene che davanti a sé si è manifestato un certo tipo di libertà difficilmente comprensibile e definibile, e che le dà un attimo di smarrimento. Ma poi tutto riprende normalmente, la bimba è riposizionata sulla retta via da un adulto, KK contempla la sua visione ma un attimo dopo ve n’è un’altra che attira la sua attenzione, ed è un’altra bambina, più grande, un bel viso tondo con occhi azzurri e capelli angelici, dice qualcosa, si guarda intorno altezzosa, ed allora KK vede chiaramente quella vita come sarà nel futuro, perfetta, senza fratture, unita e trionfante come un giorno di sole, limpida e facile come tutte le vite delle belle ragazze bionde occhi azzurri. Un profondo senso di impotenza prende KK, un profondo senso di irrimediabile diversità e lontananza da quel mondo prende KK alla visione di queste promesse di felicità; ma poi torna in sé, torna un poco più razionale, dice tra sé ma non vedi che stai dipingendo vite ideali? Cerca lucidità mentre la voce la rimprovera non vedi che inventi cose che non esistono per fare un confronto e stare male?



Ma perché crucciarsi? Perché farsi rovinare ore e giorni da nient’altro che pensieri arbitrari?
KK sente la vita andarsene, sente in modo chiaro e inconfutabile l’inutilità dell’esistenza che ora le scorre davanti e che fino a poco fa la tirava da una parte all’altra, e faceva di lei ciò che voleva. Sente i significati scivolar via da cose, persone, fatti accaduti, la sente sciogliersi come una glassa dolciastra, che se ne va lasciando il mondo degli eventi nudo e finalmente senza senso e determinazione, e lasciando KK piacevolmente tranquilla, libera da quel terribile senso di necessità apocalittica che ogni attimo si portava dietro.
KK è scossa da brividi ora, cammina e deve avere in faccia un sorriso ebete, cammina cammina ma nulla ha più senso, e KK è da questo sollevata, è improvvisamente più leggera, KK è una piuma che fluttua oltre le cose e le parole di questa via affollata, oltre ogni cosa del mondo che prima di questo istante perfetto reclamava a gran voce la sua attenzione, ogni cosa ogni gesto e ogni ricordo voleva la sua testa, ghignava alle sue spalle, voleva prender la rincorsa e buttarla a terra; ma ora no, più niente tocca la mente libera di KK, la brezza della sera è così ambigua, sa di fiori e di legna bruciata, è primavera e inverno contemporaneamente, KK non capisce verso quale stagione stiamo andando, ogni cosa ora è semplice e trasparente, KK cammina e le gambe la portano nei luoghi più disparati, la portano là dove tutto sembrava perfetto, la portano nella piazza di sera con poche macchine dove siete stati a guardarvi e sorridere e volevate entrambi la stessa cosa, e poi un tira e molla infinito, e poi siete scappati senza dir niente a nessuno, e lui ti ha detto potremmo andar via senza dir niente a nessuno e tu ha sorriso e la notte era perfetta, la sua pelle era salata, la luna vi guardava con un sorriso triste; ma nemmeno questo ora ha più un peso come l’aveva un attimo fa, come l’aveva solo ieri quando KK pensava non ci fosse via d’uscita per liberarsi da questo desiderio, dalla maledetta voglia di vederti, voglia di avere qualcuno da aspettare, ma niente, tutto tornerà di nuovo al punto di partenza, accadrà forse stasera, domani, chissà, ma KK è così inquieta, KK sente che il tempo è fatto di gocce che non sono per noi infinite, KK sa che la disinvoltura con cui lasciamo passare i giorni cela una cattiva infinità, perché il tempo che ci rimane è perfettamente calcolabile, KK ora ride alla grande rotolandosi nella sabbia di una clessidra immensa, ma stasera no, stasera è a sé, stasera il fiume delle persone che esistono ignare, e ignare si trascinano, ha svelato il suo volto a KK, ha gettato la maschera.
KK fluttua nella via, oltre la via, oltre la sera d’aprile che ora non è più triste e solitaria ma è solo una sera d’aprile in cui alberi e foglie nuove, sassolini e rametti, e neve là in alto, stanno nell’esistenza, stanno gettati nel mondo esattamente come KK, che al momento non ha nulla di diverso da un sasso o un filo d’erba, perché per pochi minuti, forse qualche ora, la crepa si è richiusa, KK non sente la distanza dalle cose, dalle persone, da quello che vorrebbe eppure non è qui; ora la consapevolezza come musica entra in lei, la musica è vibrazione fisica che entra nella cassa toracica e scuote il corpo inutile di KK, lei sorride, i tuoi occhi volteggiano ancora una volta nella sua testa ma l’apocalisse è rimandata, ogni cosa stasera è semplicemente superflua. Ogni illusione è caduta. KK cammina su un filo, giace sull’acqua guardando tranquillamente il cielo, esiste e nient’altro.

Saturday, April 19

semplice



Una sera di aprile, il vento ha pulito il cielo che ora è alto e perfetto, indefinito finché non compare la prima stella ancora immersa nell'azzurro.
Una sera di aprile, chissà quante altre ce ne sono state prima di questa, chissà quante esattamente uguali a questa, silenziose, con il mondo appena nato e tutto un cinguettare di uccelli prima della notte.
Così tante sere come questa eppure questa è nuova. Anche la brezza è nuova eppure c'è sempre stata.
Che senso ha il nuovo? Il giorno e la notte, e le ore, e le sere come questa non sono altro che il modo, per altro intelligente, con cui è stato organizzato il tempo del mondo.
Quando abbiamo potuto guardarci da fuori, quando dal satellite abbiamo scorto la Terra fluttuare ridicola e insensata nel nero infinito, solo allora è stato chiaro come il tempo sia una pura invenzione, un modo per mettere ordine, e giustamente, nel caos di un flusso che è in fin dei conti sempre uguale.
Mettere ordine è la prima cosa da fare, non è vero KK? Lo fai anche tu, in continuazione. Osservi questa sera di aprile e ti perdi a pensare a tutte le sere d'aprile prima di questa, tenti di contarle come si fa con le pecorelle per prendere sonno; ma tu non vuoi prender sonno, non è vero KK? Tu vuoi svegliarti, alzarti, vivere, uscire sempre di nuovo dalle trappole in cui da sola ti cacci, scappare sempre di nuovo dalla sensazione di essere rinchiusa in qualcosa che non vuoi. Correr via ancora e ancora in perenne ricerca.
KK mette ordine, ed ecco il risultato.
È iniziato così. Lo hai visto, lo hai guardato; la prima volta hai sentito come una voce ma non ci hai dato peso; l'hai studiato ancora; poi è successo qualcosa, ma nessuno può dire quando esattamente; allora qualcosa in te voleva andare oltre, qualcosa in lui si faceva insopportabile come un coltello nel fianco; hai cominciato a cercarlo; cercavi anche solo quel coltello; stargli di fianco e sorridere, cercare nei suoi occhi risposte, trovare nei vostri gesti complicità, ritrovarsi con le mani a giocare, non vedersi per tanto e soffrire come non mai, assurdo, assurdo, non credi KK?
E poi? Pensavi che sarebbe stato diverso, se fosse successo qualcosa invece che nulla? Quanto tempo sei stata a pensare alla tua rinuncia credendola irreparabile, e quanto tempo ora pensi a quel che è stato e invece di essere tranquilla ugualmente soffri e ugualmente non capisci come mai?
Una sera di aprile neanche fosse la fine del mondo. E invece è tutto così semplice. È tutto così incredibilmente semplice KK, se solo tu riuscissi a vederlo con gli occhi di ghiaccio di chi non muore mai. Se riuscissi a rileggere la tua esistenza fin qui alla luce di quel che è successo, di quel che hai imparato soffrendo e rinascendo ogni volta ad una vita nuova.
Devi compiere l'azione e sopportarla, e sedere in alto sul tuo trono, e guardare all'oggi e al domani come quelli che non muoiono mai.

L'aria è tiepida ora, ma KK è scossa da brividi. Ci sono profumi che innescano ricordi potenti e indecifrabili, immagini di una felicità pura com'è solo quella dell'infanzia. KK è di nuovo da un'altra parte, profumo di fiori, profumo di glicine, i giardini di bologna, o forse in toscana, il sole che muore su un muro a secco nella sera d'estate, il muro è tiepido, l'erba intorno si muove piano, grilli nei prati, qualcuno in casa ride, ma le voci arrivano indistinte, è una meravigliosa musica indistinta che non tornerà mai più, la risata del nonno, sembra lontana ma è solo a pochi passi, è al sicuro, il nonno e le zie e tutti sono al sicuro, hanno finito di mangiare e ora siedono nella sera d'estate, tutta la vita di KK racchiusa in una bolla di felicità, l'unica possibile, l'unica sicura, l'unica che per un attimo è davvero senza tempo, KK immersa nei suoni e nei profumi delle sera fa esperienza di una libertà che non tornerà mai più e di cui si accorgerà anni e anni più tardi, sotto il cielo nero, in mezzo a un flusso insensato, mentre orione scompare lento dal cielo invernale, lento, sera dopo sera sempre più vicino all'orizzonte, lento, KK con gli occhi a fessura vorrebbe trattenerlo ma non riesce, ogni cosa è quasi ferma ora, ogni cosa ritorna, è di nuovo una sera di aprile, KK riapre gli occhi umidi, la visione è già fuggita. Una sera di aprile, ogni cosa scappa dalle mani; ma le braccia rimangono tese ad aspettare.

Thursday, April 10

specchi



E' un interessante nuovo inizio, per KK.
Si sente, e forse è, finalmente naturale. Molto divertente. Quell'affannarsi continuo non è sopito, ma non ha più il monopolio sulla sua vita com'era prima. Lui era uno specchio, che rifletteva di lei un'immagine distorta. KK si rende conto solo adesso che n lei non c'è proprio niente che non va.
Scopre quanto sia lontana e finalmente superata quella sensazione di non essere mai all'altezza che dominava la sua adolescenza. Mentre si dice questo, KK si accorge che non è così semplice come sembra, ma tant'è. Se ne sta qui e davvero non ha bisogno di niente, per sentirsi naturale. Non ha fame. Non ha ansia di nulla, a parte vederti. Sei stato un nuovo specchio, indifferente, luminoso, occhi azzurri riflessi nella notte infinita. Amarsi senza impegno è interessante, no? Certo hai passato il giorno successivo a chiederti come aveste fatto a renderlo reale; e ogni ora del giorno successivo era un continuo domandarsi che significato avesse tutto questo. Per voi, per l'economia dell'universo, per cosa succederà in futuro. Potrebbe non succedere nulla e sarebbe stato interessante in ogni caso.
KK ha scoperto di non aver bisogno di specchi, o forse solo di specchi giusti. 
E devi sceglierli con giudizio, KK, perché nei loro occhi tu possa leggere una nuova verità su te stessa, perchè tu possa vedere la tua esistenza risplendere nelle sue possibilità, senza odio né tristezza né rimpianti.
In questo senso, sei stato uno specchio fantastico in effetti, pensa KK. Chi l'avrebbe mai detto?
Più ci pensa, più le cose passate acquistano un significato diverso, si possono ora leggere come fossero una storia il cui esito è qui e ora, anzi è stato tre giorni fa in una notte in una macchina, in cui qualcosa finiva e forse qualcos'altro è iniziato. Oppure no. I significati da dare alle cose che accadono non sono nelle cose ma in noi, giusto? Arbitrariamente hai deciso che volevi lui, arbitrariamente avete deciso così, e ognuno darà a quel che è accaduto il senso che vuole, o non glielo darà affatto. 
Ci sono attimi perfetti fatti solo per due. In quel tempo indefinito, il resto del mondo letteralmente scompare.
Un luogo chiuso e nessun testimone, e il mondo tutto non esiste più.
Ma come si può esser certi che una cosa segreta sia reale?
Se nessuno saprà nulla, come sapremo noi che qualcosa è successo davvero?
L’unica cosa certa è che l’altra sera la luna era più luminosa che mai, e guardava KK col suo sorriso ambiguo.
Anche lei non ha saputo suggerirle niente su cosa stesse accadendo. Lei era silenziosa e argentata, abbagliante nella desolazione intorno a voi.
KK chiude gli occhi. Immagina che le cose e gli eventi che passano di qua siano come le nuvole leggere e le scie degli aerei nel cielo blu delle sere d’estate; se ne vanno lentamente sotto la brezza, finché al tramonto non c'è più nessuna nuvola e nessuna scia, e il cielo è alto e nuovo, meraviglioso e pronto per un altro giorno.
Non è così? E quelle scie, non vedi come si sfaldano e si sformano, e scivolano via sfinite, fino a sparire nell'altra metà del cielo? 
E ora KK, rifletti: la tua domanda su cosa significhi quel che è stato, ha ancora senso? 
Non è il tuo star bene e la tua tranquillità, quello che conta davvero? 
Non è quel cielo blu prima della notte, quello che cerchi?


Thursday, March 6

asciugamano




KK ricorda perfettamente di aver visualizzato, sull'asciugamano davanti a sé mentre se ne stava beata sotto la doccia, la sua vita futura.
Tutto questo accadeva anni fa, cinque almeno.
Quel giorno, con una chiarezza e soprattutto con una fiducia che mai si sarebbero ripetute, KK aveva creduto fermamente di avercela fatta. Dopo la visione sull'asciugamano, bianco come la neve che aveva appena lasciato, KK stette un tempo indeterminato sotto l'acqua calda a sciogliere la tensione di quei giorni, felice, in attesa. Finalmente tranquilla e consapevole KK se ne stava a rimirare quello che aveva fatto.
Oh, ma ancora non era finita.
Quel pomeriggio sotto la doccia, per l'ultima volta KK credette in se stessa. Tempo dopo, spese mesi e anni a chiedersi quanto diversa sarebbe stata non tanto la sua vita, ma la sua stessa persona, qualora l'esito di quel maledetto pomeriggio fosse stato diverso. Se qualcuno avesse detto , se qualcun'altro avesse scritto ammessa sul foglio che avrebbero poi appeso fuori dall'hotel, dove dopo la doccia KK si recò incontrando tutte le facce paonazze della mattina, vestite civili, e dove KK dovette vedere la gioia degli altri senza poter far nulla e senza poter gioire lei stessa. Cosa sarebbe cambiato e quanto?
L'ultimo pomeriggio di vita della fiducia di KK se ne andò così, neanche il tempo di goderselo, e neanche il tempo di pensare a un piano B per salvarla, la fiducia, nel caso il piano A avesse fallito.
Invece niente. Fallì il piano A, e fallì il mondo faticosamente costruito da KK, e morì quel giorno poche ore dopo la visione sull'asciugamano anche la fiducia di KK nelle cose a venire, negli eventi, cioè in fin dei conti in se stessa.
Una parte di KK è rimasta sotto la doccia credendo di essere invincibile. Quell'anno, finito miseramente in quel pomeriggio di inizio primavera, fu il primo e l'ultimo in cui KK si sentì davvero forte, invincibile, capace di reggere la pressione e l'ansia, capace di gestire la prova, la paura, la sensazione di non essere all'altezza. Questi ultimi erano allora concetti sconosciuti, per KK.
Aveva costruito un mondo in cui niente era impossibile, in cui impegnandosi si arrivava al risultato, in cui l'ansia di non riuscire erano combattute con la concentrazione attenta e testarda. Aveva ripetuto tutti i gesti necessari e aveva fatto tutto giusto.
Perciò una parte di lei era rimasta sotto la doccia, per capire che cosa di tutta quella storia e di quel mondo fosse andato storto, cosa ci fosse stato di sbagliato e dove diavolo fosse, se in lei, negli altri o nelle cose stesse.
Una parte di KK, infinite docce più tardi, guardando l’asciugamano scorge ancora quella visione così chiara, nitida e semplice, e quel giorno in cui tutto si è perso le pare così vicino e insopportabile da esser nella sua testa rielaborato, ricostruito e riposizionato, diventa l’inizio di una discesa, lo spartiacque tra un prima e un dopo del tutto convenzionali, inventati, che daranno a KK la sensazione che la vita in fin dei conti sia fatta di tanti pezzettini uno diverso dall’altro, da posizionare a piacimento come fossero mattoncini di lego. Tutto questo e molto altro, mentre dall'asciugamano spariva la visione perduta per sempre, tutto questo e poco altro mentre la vita tanto desiderata fuggiva in un baleno, e la fiducia di KK nelle cose, negli altri e in sé, svaniva di botto, ridendosela alla grande, una fragorosa risata mentre KK rannicchiata nella vasca sparirebbe volentieri assieme all’acqua che se ne va.

Friday, February 14

valentino



Un'altra notte. La luna è alta e fredda. Come sarebbe bello stare tra le tue braccia senza dover pensare a nulla. Non è più possibile. La verità è un interessante tranello, è ancora una volta una voce estranea, che ride di me che non so decidermi. Scopro che la verità non conta nulla se non sai che fartene. Scopro che la verità in sè è solo fiato sprecato, se non le dai una funzione, se non la fai fruttare.
Nel mio caso le verità sono due, ora, e nessuna di loro mi serve. Le conosco a memoria ma se ne stanno cristallizzate senza dar luogo a conseguenze. Sono assiomi immobili. Molto divertente. So già che un giorno, alla fine della mia vita, ripenserò a quelle stupide verità e mi chiederò perché mai non abbia fatto una scelta drastica, non abbia per una volta confessato quel che ho da dire. Dovrei chiamarti e dirtelo in faccia. Chissà mai che non ci riesca.
Fare una prova non costa nulla. Ma anche questa è una verità che si comprende solo quel famoso giorno alla fine della vita, quando hai i piedi sull'orlo del baratro.
Non importa quanto lontano è quel giorno, quel giorno esiste perché verrà.
E allora cosa aspetti, KK? Davvero hai paura dello sguardo degli altri, dello sguardo presente, delle figure di merda possibili e per altro non scontate, è questo che temi? Sarà interessante argomento di discussione con i tuoi compagni di tomba, quante scelte non avrete fatto per paura di far figure di merda! E nonostante ciò, tutti i coglioni che ora camminano sulla ghiaietta del cimitero si ostinano a non scegliere, proprio come facesti tu. Non vedono l'assurdità della situazione, non vedono come l'oggi e il domani, davanti alla notte infinita, smettono di avere l'importanza ansiosa con cui li viviamo e li perdiamo.
E tu, non vedi quanto sia ridicola e tragica la tua posizione? La tua indecisione può durare in eterno, ma davvero non ne vale la pena. Magari domani finisce tutto, e tu davvero non vuoi dire a qualcuno che l’hai amato?


Saturday, January 25

ciao, sono la neve



Mi piace tanto anche coprire la vista alle webcam.




Ciao, sono la neve.
Mi piace starmene qui a coprire ogni cosa, e mi piace starmene qui sotto il sole. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, il sole mi farà sparire.
Ma adesso no.
Ti piaccio, non è vero?
Un tempo io e te non ci conoscevamo.
Un tempo te ne stavi nella culla e io esistevo già. Esistevo già da sempre mentre tu nascevi, e anche mentre papà e mamma nascevano, e così per molte generazioni. Te ne stavi al sicuro, allora.
Poi qualcuno ha deciso di doverci presentare. Chi è stato? È stato il papà non è vero? Te lo leggo negli occhi.
Ricordi tutto. Le mattine d'inverno, la luce azzurrina dell'alba, il freddo secco, la ricognizione della gara, freddo, freddo, il numero, riuscirò a passare da questa lunga? Tutto questo e molto altro nella tua testolina, e il papà sempre dietro, a vedere se volevi la giacca, se volevi il cioccolato, se avevi freddo alle mani, se dovevi fare pipì. Ricordi quella volta che ti chiamavano, chiamavano il tuo numero e tu hai detto che non volevi scendere e allora il cronometrista è uscito dal gabbiotto di partenza e ha detto: dai che all'arrivo ci sono le torte, ma tu niente, e il papà sembrava proprio arrabbiato ma non lo dava a vedere, e la pista era perfetta nell'ombra azzurra, le porte erano rosse e blu e stavano ordinate, immobili, un giorno come tanti per me, ero dappertutto ed ero bianchissima, ma tu non ne volevi sapere di scendere, tu eri ancora una bambina e davvero non mi conoscevi ancora. Più tardi, neanche troppo, ti saresti definitivamente innamorata. Doveva passare del tempo, altre gare, altri giorni iniziati col buio e la brina sui vetri della macchina.
Passarono tanti inverni e tutte le volte osservavi il cielo aspettando. Passarono inverni in cui tutto sembrava crollare, e tu ancora non capivi dove fosse il problema. Mi cercavi, eppure non eri soddisfatta. Allora cominciasti a spingere lo sguardo oltre il già visto, studiavi boschi, canali, rocce, volevi scendere, e non volevi regole; ma volevi anche la fatica, volevi ancora conquistare, ma cosa? pensavi forse di conquistare me? come se a me importasse qualcosa.
Ancora non capivi.
Ma un giorno ti accorgesti che ovunque io fossi, ero semplicemente sinonimo di felicità.
Bastava quello e nient'altro, a dar senso ai giorni.
Da allora niente è stato più come prima.
Sei stata ingenua. Ma siete tutti ingenui, in effetti.
La mia tranquillità è eterna e il mio sguardo indifferente. Siamo tutti indifferenti, qui. Io e i monti su cui me ne sto adagiata. I larici e i giochi di luce e ombra sui pendii candidi.
Oggi, dopo tutti quegli inverni a cercare di capire, passi in mezzo a noi e sei così incredibilmente felice di essere qui. Passi in silenzio, farfugliando ringraziamenti a non si sa chi; ma noi davvero non possiamo garantirti nulla. Non è colpa nostra. Qualche settimana fa, hai misurato il peso di ogni passo sulla traccia e noi sentivamo la tua voce. Pregavi non è vero? Pregavi che io me ne stessi ferma, osservavi la cornice alla tua destra, la costa ripida, immaginavi dove avrei potuto venir giù, immaginavi vie di fuga, e non ce n'era nessuna, mentre il sole era maledettamente caldo e le cose a venire maledettamente incerte; e ancora una volta, era solo colpa tua.
Mi spiace averti dovuto spaventare un po'.
Oh, sono sicura che non cambierà nulla tra noi. Non sarai mai sufficientemente spaventata.
Altri giorni verranno.
Di nuovo pregherai scivolando in silenzio sulla traccia; e noi, ancora una volta, non potremo davvero far nulla.




Un altro giorno in cui ti ho fatto paura.

Saturday, January 4

a wish



Come vorrei non aver bisogno di nessuno. Pensavo fosse possibile, l'ho sempre pensato, e invece ecco che non è vero. Io vengo presa nel vortice proprio come tutti. Cosa pensavi, KK, di essere immune? Davvero credevi possibile sfuggire ad eros che tutto muove e tutto manda avanti? Ognuno è preso per il collo e non può sfuggire. Tu KK non fai eccezione. Tu ami proprio come gli altri e adesso soffri maledettamente; vorresti tanto non aver bisogno di nessuno e avere la mente libera, non aver bisogno di nessun legame e nessuna persona; e invece eccoti qua, ridicola, sconquassata, in attesa di qualcuno. Pregare mentalmente che il tempo si faccia occasione, e che le occasioni si succedano, non serve più a niente. Pensare e ripensare, rivedere gli attimi passati, non serve davvero a niente. È tutta apparenza e quasi viene la nausea, a KK. Quasi non riesci più a dir nulla, non è vero KK? Muta e incredula davanti alle occasioni perse, muta e perseguitata da immagini e sensazioni che non si possono cancellare. KK, perché dev'esser tutto complicato? Perché non provi semplicemente a prendere quello che viene, senza curarti di quel che è stato?
KK ha un flash improvviso.
È estate.
È un luminoso giorno d'estate, appena sopra il lago, una strada in salita al sole, il caldo che diventa quasi insopportabile, il presagio della sofferenza che sta in agguato qualche centinaio di metri più su, dove l'asfalto è bollente e ripido e la salita non dà tregua, e le gambe saranno già stanche di pedalare. Il lago sta dietro di noi, fresco, meraviglioso, l'estate è solo a metà, rivoli di sudore tiepido scendono dalle tempie, negli occhi, lungo la schiena, dietro le gambe, tu sei davanti a me e vai a zig zag, ti raggiungo e ti sto di fianco. Credo di aver pensato, in quell'istante, a come sarebbe andata a finire, questa mia strana sensazione verso di te. Eppure sembrava allora così innocua, innocente e casuale come un sorriso nella notte. Forse potrei sforzarmi e con un po' di agilità passarti, e lentamente andar via. Non lo faccio. Sto lì mentre la salita diventa sempre più cattiva e insopportabile, e il manubrio scivoloso, e il fiato corto. Ti aspetto. Voglio stare qua. Sento che sto facendo una cazzata. Fa caldo e non so nemmeno come finirà, oggi. Ti guardo e mi guardi e siamo maledettamente stupidi. Vorrei dire qualcosa a proposito della mia visione, vaga e sfumata e resa delirante dalla fatica e dall'endorfina nel mio cervello. Non dico nulla ma dentro di me qualcosa cresce, va formandosi e reclama spazio e visibilità. Il lago è ora lontano, luccica nell'aria tremolante di mezzogiorno, l'altra riva è quasi invisibile dietro la foschia umida e calda. Un senso di malinconia quando siamo finalmente in cima, un'altra valle si apre dopo questa, e così per molti chilometri, altre valli e altri laghi fino ad arrivare alla pianura, immersa nella cappa di calore, grigia, e in fondo in fondo, invisibile a noi, il mare. 
Tutto questo e molto altro quando scolliniamo su una strada dissestata e dimenticata da dio, tutto questo e molto altro nella mia testa mentre mi lancio nella discesa misurando le sensazioni e immaginando la bici senza freni, immaginando i criteri per una felicità possibile, immaginando che forse non mi serve nient'altro che giorni liberi e una bicicletta, per essere contenta. Tutto questo e molto altro, nel mezzo di un giorno e nel mezzo dell'estate; pedalo e intanto penso che forse non ho e non avrò bisogno di legami, forse non avrò bisogno di persone, per trovare la tranquillità che cerco. Ma tu sei ad un passo da me, tu sei qui ora e non mi rendo conto che è solo per questo che sono tranquilla; se ora va tutto bene, è solo perché tu sei qui, sei vicino e sei con me. Soltanto finita l'estate questa cosa è apparsa chiara. Avrei dovuto passare oltre e invece eccomi qua. Avrei dovuto liberare la mente da inutili pensieri e sensazioni, e invece eccomi qua. Saresti dovuto restare in quel giorno d'estate, un'immagine e un sorriso e delle parole su una salita, e invece eccoti qua con me, di nuovo. KK, come fai ad essere così prevedibile? KK perché non ti fai una risata e non salti fuori dall’angolo dove ti sei cacciata?