Monday, July 27

parole al vento, gatti parlanti e rivelazioni

niente birra stasera.
in compenso mia nonna si esprime in dialoghi degni di una pièce teatrale, e la cosa è devastante.

ha chiamato qualcuno?
- oggi?
sì, non ha chiamato nessuno? ho sentito il telefono
- no...perchè?
-ero fuori, mi è sembrato di sentire qualcosa
- no....erano quelle signorine...
allora hanno chiamato?
- sì....sai io dico sempre che mio figlio non c'è...
ma chi sono che non ho capito?
- ma sì...poverine loro parlano bene...sono gentili..
ah dici quelli delle offerte telefoniche?
- ...non so, io dico sempre che mio figlio non c'è...
per forza non c'è, vive da un'altra parte! ma tu dì che non ti interessa...sono stressanti le tipe di tele2...
- sì...ma poi parlano tanto bene, si vede che le scelgono
ma sì nonna non preoccuparti...
- sono carine sì....sono a modo...
ma sì non preoccuparti...le tipe di tele2 puoi anche mandarle a quel paese, non c'è problema.
non verranno mai a sapere chi sei.

***

- Sai cosa guardo? sono qui ma guardo lì davanti...
...che cosa?
- quella finestra...

la finestra della signora..?
- ...eh....è sempre chiusa....ormai la tengono chiusa...
fissa intensamente la tapparella marroncina della casa davanti alla nostra come se da un momento all'altro potesse alzarsi di botto. non succede niente. la signora di solito apriva, per fare corrente, e metteva i cuscini al sole, mi ricordo quei cuscini bianco abbagliante come nella pubblicità del dash. ricordo anche che la nonna mi ordinava di guardare se fosse aperto così evitava di uscire perchè non aveva voglia di fermarsi a parlare, nel caso la signora si fosse affacciata. diceva che la signora, a differenza di lei, poteva stare appoggiata al davanzale. insomma è diverso. non è come stare in piedi. la nonna doveva stare in piedi in mezzo al prato per poterle parlare, mentre la signora stava al davanzale.
ora la finestra è chiusa. la nonna non smette di fissarla. vorrei ricordarle che non faceva altro che evitare accuratamente ogni suo invito. non so, a mangiare il gelato. o al prendere il tè. cose simili, a cui seguiva un no prolungato e strano come se fosse la cosa più disdicevole del mondo. vorrei dirglielo ma lascio perdere.
- quella finestra...adesso i figli non la aprono più.
ma sì dai la apriranno ogni tanto, l'ho ancora vista aperta...
- nooooo....era lei che la apriva...sai per fare aria...quella casa senza di lei non vive più
ma sì...ci vivono, stanno al piano di sopra, in cima.
- mah...non è la stessa cosa....non riesco a non guardare quella finestra.

***

la signora è morta un giorno di dicembre, che sembrava come tutti gli altri, anzi un giorno in cui io ero tutta contenta per le grandi nevicate in arrivo. era un po' che non pensavo a lei. era un po' che non la vedevo in giro. non so, la cosa è strana.

anch'io guardo la sua finestra, nonna. dai.


in realtà non è che la cosa mi abbia colpito. mi dispiace, ma il fatto è che le cose mi passano addosso e potrei anche essere sconvolta, ma da fuori non si vede niente. neanch'io so cosa succede nel groviglio che sta a ribollire dentro di me. non so un bel niente.
la guardo anch'io la finestra.
e sono certa, lo so, che prima o poi lei si affaccerà. sono convinta che si affaccerà. lo so come so che il cielo è blu e domani alle sei il sole sorgerà ancora.
è qualcosa che non mi spiego. io sono la persona più razionale del mondo, ma questa cosa sembra avere uno statuto a sè.


***

volete sapete cosa ho pensato, qual è stata la prima cosa a venirmi in mente?
un pomeriggio, a gennaio, sul muro spoglio, passava il gatto. zampettava sul muro di cinta che separa la mia casa da quella della signora. ho sempre preso un po' in giro quel gatto. perchè a forza di dargli scatolette ogni volta che miagolava, è diventato obeso. la mia gattina era molto più agile. povero gatto. ora passa saltellando sulle sue zampette tigrate e mi guarda con gli occhioni spalancati, che sono verde brillante mentre tutto intorno a noi è come spento. lo so cosa vuole dirmi.

hey, lo sai? certe cose non tornano.

così è stato chiaro quale fosse il punto centrale in tutto questo.
e adesso chi ci pensa al gatto? il gatto cazzo. il gatto è quello che sta peggio. tutte quelle piccole cose, che solo la sua padrona sapeva. gli animali sanno un sacco di cose.
questo voleva dirmi, guardandomi dal muro in un giorno incolore e senza senso. ci voleva un gatto per farmi capire questa cosa.

la casa della signora è un parallelepipedo grigiastro, circondato da un giardino tutto sommato rigoglioso rispetto al resto. tutto è chiuso. non si sentono rumori. la casa è un cubo, e tutti sono chiusi dentro. in qualche stanza sta la signora. chissà quale hanno scelto. i muri sono muti. il dolore se ne sta tutto dentro. nel giardino ogni cosa è silenziosa e bella come sempre. niente può scalfire la forza che hanno le cose, di passare e continuare. alcune finestre hanno le persiane a metà. ti guardano senza poter dir niente. chissà quanto c'è da dire, dentro. c'è un fiume in piena, dietro a questi muri.
il gatto ora se ne sta seduto e guarda in su. cosa guardi non lo so. questo l'avevo pensato tante volte, da piccola. gli animali non guardano mai le cose senza motivo. non ho mai visto un gatto guardare il cielo tanto per guardare.
del suo sguardo smarrito, non possiamo davvero saper nulla.
non saprò mai cosa stava guardando. o se per caso fosse infelice. generalmente ci occupiamo della nostra, di sofferenza. ne parliamo. ma il gatto non ha potuto far altro che guardarmi.

probabilmente questo c'entra col fatto che ora lui deve star fuori, mentre gli umani sono dentro.
sono sicura che c'entra anche con la nonna che ora fissa la finestra chiusa da dietro le tende, cercando scuse che non stanno in piedi sul fatto di aver sempre rifiutato ogni invito.
me lo sento che è tutto collegato, ma davvero sono troppo stanca per indovinare il perchè.



Sunday, July 26

delle sere d'estate e di altre cose

mi sembra assolutamente il momento giusto.
un attimo fa, nel tentativo di accendere la luce di fianco al mio comodino, ho urtato qualcosa che se ne stava nel buio. ci messo veramente una vita a farmi venire in mente cos'era, ed è successo nello stesso istante in cui ho sentito chiaramente una sorta di splash, quel rumore subdolo che fanno i liquidi che si rovesciano. la bottiglia di birra si è adagiata su un fianco, quello dalla parte del letto. ora l'angolino sottostante, e il muro, e parte del comodino, sanno di birra. e anche il copriletto, sa di birra. misto all'odore della carta igianica colorata e profumata che ho usato per tamponare il danno in tempi rapidi prima che madre se ne accorgesse. ora posso scommettere che quando metterò la testa sul cuscino tutto intorno a me saprà di birra, e di carta igienica. come i veri scrittori alcolizzati.

tump. tump.
tump.
tutto ok. non è un revival futurista. questo è il rumore che faccio generalmente quando la sera gioco a basket davanti al garage. l'estate è interessante, da questo punto di vista. c'è un sacco di gente in giro. o gente sui terrazzi che mangia al fresco. tump tump fa la mia palla. veramente rilassante, come cosa, star lì finchè si fa sempre più scuro e alla fine non si vede più niente. posso immaginare che tutto questo casino con la palla dia fastidio ai miei vicini, che se ne stanno a cenare sulla terrazza. non possono vedermi, perchè a coprire la vista c'è la mole della mia casa e di una serie di invadenti vegetali. ma io posso sentirli, e sono sicura che anche loro sentono me. probabilmente si saranno rotti di tutto il casino che sto facendo. in un attimo di altruismo penso che forse potrei fare meno rimbalzi. poi però un altro impeto del tutto contrario mi fa cambiare idea. chi l'ha detto che non siano loro a disturbare me? sono lì con qualche ospite, sento risatine isteriche e cinguettanti, e rumore di forchette e di tazzine del caffè che si appoggiano sui piattini. effettivamente, è proprio l'ora del dolce. tutto questo potrebbe darmi un gran fastidio, tutto sommato. per cui i cari vicini non possono dirmi niente. in realtà, ma questa è un'altra storia, ho sempre adorato il tintinnare delle forchette sul piatto. non so, è un rumore che sa di felicità.
in ogni caso, ho risolto i miei dilemmi senza ulteriori problemi.
nel frattempo dall'oratorio sparano musica senza senso, che dovrebbe allietare le famigliole in canottiera che se ne stanno sotto i tendoni bianchi a cenare con menu a base di pesce a 10 euro. felici su traballanti tavoli chilometrici. stasera sono veramente una rompipalle, lo so. non c'è da prendersela. io adoro queste feste, di solito. ma qui è la musica la cosa più odiosa. perchè è la stessa che mettono il pomeriggio ai bambini del cre. bambini che ora ritornano la sera e contentoni si risentono quella musica di merda, che tra l'altro è sempre nello stesso ordine, e non è che siccome è del cre sia per questo educativa o roba simile. così, tra un tiro e l'altro, mentre sono costretta a sorbirmi canzoncine commerciali (che per altro fanno scadere inesorabilmente la qualità dei miei tiri a canestro) mi è venuta un'illuminazione. un impeto di odio improvviso misto a una specie di compassione. io vivo di queste illuminazioni, nel caso non si fosse capito.
i bambini saranno ragazzini e saranno grandi, tra un po'. tra poco. c'è un momento in cui cominciano a perdersi. capire quando sia quel momento è da sempre uno dei miei chiodi fissi. vedere dov'è la linea, se c'è.
ecco, in realtà quel momento è già qui. è ora, sotto il tendone con mamma e papà. è stato tutti i pomeriggi in cui ti hanno fatto giocare con la musica martellante nelle orecchie. loro non possono scegliere. questo è il punto. eppure la musica è altra. la musica è qualcosa che neanche si immaginano, e non ha niente a che vedere con sere come questa e con gli altoparlanti che riempiono di onde sonore tendoni già surriscaldati dalla gente e dall'odore di sugo di pesce. ma loro, i bambinetti, come fanno a saperlo? chi glielo dirà, ai nanetti, che non è questo quello che abbiamo in serbo per loro? che è altro quello che devono cercare? e che altro troveranno, se guarderanno bene? ma tra tre, quattro anni questa sarà l'unica cosa che si ricorderanno. bella la musica che rimbomba. bello il suono che frastorna. fantastico. lo so bene. fantastico non capire più un cazzo. così come ora non c'è altro, non c'è alternativa possibile, allo stesso modo tra qualche anno non potranno che pensare che questa sia la norma. questo non avere nient'altro, intendo. pensare che sì, è tutto qui. grazie, arrivederci.

temo che questo delirio sia dovuto ai fumi della birra che lentamente evaporano dal pavimento sotto al mio comodino. nel frattempo i miei vicini avranno finito il dolce a quest'ora. avranno finito caffè e grappe e staranno ridendo a crepapelle sul terrazzo, e la sera intanto prosegue, e la musica dell'oratorio sembra migliorata, i miei vicini saranno alla quarta grappa e cominceranno a essere felici e allegri e tutto si scioglierà. fantastico. ho vaghi ricordi di tutto questo. cose che scivolano via e attimi di panico senza spiegazione, come quando nel dormiveglia ti sembra di cadere e un sussulto ti sveglia al'improvviso. le facce scivolano via e tutto è molto più bello e più semplice, oltre la quarta grappa. non so se i miei vicini siano già a questa fase. probabilmente ci sono io, in questa fase.
ora la luce sul loro terrazzo è spenta. ieri sera il temporale li ha costretti a correr dentro mentre la tenda faceva grandi movimenti molto scenografici a causa del vento, e gli ospiti, massimamente ridicoli, cercavano nel dannoso tentativo di rendersi utili di togliere la tovaglia prima dei piatti o di mettere in salvo tazzine e posate mentre la stessa tovaglia si alzava come una vela impazzita assieme alle forchette rimaste. una scena impagabile. ovviamente la tempesta si è abbattuta anche sui tendoni e sulle loro dannatissime zuppe di pesce. la musica si è prima abbassata, come a voler chiedere umilmente al cielo squarciato dai fulmini di risparmiare i tendoni e i pargoli, e magari anche gli altoparlanti e le lampade alogene. poi visto che al cielo non gliene frega proprio niente di pargoli-tendoni-festedelvenerdìsera-musica e altre amenità create per dare gioia alla noiosa esistenza umana, hanno iniziato a venir giù gocce da mezzo litro e la musica ha a quel punto smesso del tutto. muta come i pesci nei pentoloni.
per questo mi piacciono i temporali. non si fermano davanti a niente. mettono in riga tutti. cioè hanno dignità. non sono dei venduti dannazione, e vengono periodicamente a ricordarcelo. a noi e alle feste sotto i tendoni, e a tutte le cose che vorremmo rimanessero perfette. arrivano e le distruggono, molto semplicemente. come la grandine che la settimana scorsa è passata ad accarezzare il granturco. è arrivata, è passata, e l'ha lasciato spaventato e impietrito, in steli bucherellati e giallastri. adesso non c'è neanche più gusto a perdere lo sguardo tra le file. nemmeno frusciano più come quando erano verdi. se ne stanno alti e muti, immobili anche nella brezza.

Thursday, July 16

walk away

mi dispiace, per sandro.
insomma, tutte quelle ore di attesa, seduti in terra nel corridoio angusto del dipartimento, col sole che silenzioso attraversava nubi sottili rese nitide dal vetro sporco, potevano finire un po' più dignitosamente. poteva esserci altro, oltre a una mattinata passata in terra.
comunque, questo è quel che accade sopra le nostre teste. guardare ogni cosa dal basso fa sentire in un certo senso sollevati. niente è poi così terribile, visto da qui. o meglio, forse non c'è niente di più terribile. ormai sei in terra. sei come rassegnato. sei talmente in basso che risalire sulla sedia sarà già un notevole miglioramento.
ora quel che accade sopra le nostre teste è quel che conta. il corridoio è affollato di gente spaurita. persone che vanno e vengono con mazzi di chiavi. professori, suppongo. ce n'è uno con la barba che va e viene una ventina di volte, e a ognuna si esibisce in gesti stizziti, tentando di far presente che con tutti quei fogli ai suoi piedi non riuscirà mai a passare. delle tipe dai vestiti che sembrano incarti di caramella se ne stanno infatti accampate in stile indiano a ripassare, impedendo chiaramente il passaggio. in realtà non fanno che ripetere subitizing e counting, confondendoli e scambiandoli continuamente, in un casino di nozioni incredibile. anche lunedì, all'appello, le capacità numeriche di alex sembravano essere le loro uniche preoccupazioni. in due giorni non è cambiato niente. adesso stanno sedute tutte aggrovigliate e guardano il tipo barbuto che vuol passare come se fosse lui quello strano, che sta in piedi invece di gattonare o strisciare, e come se il suo passaggio mettesse in serio pericolo l'esito dell'esame.
poi, come le acque bibliche, le tipe e la loro valanga di appunti si richiudono dopo il suo passaggio.

questo è il sottotetto, e il sole a picco di mezzogiorno ha raggiunto la finestrella strana che c'è sul soffitto basso. fuori, si intravede parte delle tegole e parte della vecchia costruzione di non so quale epoca antica, che stona irreparabilmente con il posto dove siamo noi e i suoi muri anni sessanta. sembrano graffiati, come i graffi lasciati dai camion sulle pareti delle vie strette. la cosa occupa la mia mente per un periodo indefinito, in cui mi scervello per trovare motivi validi per cui un muro debba avere un simile aspetto. poi mi distraggo a guardare altre cose altrettanto curiose. appesi alla parete, uno per ogni porta, ci sono dei pannelli di sughero di quelli per attaccarci le cose. c'è la foto di un tipo con una barba modello rasputin che sorride sotto una didascalia che dice qualcosa come "...the great metaphysic of the century.." . il foglio un po' giallino su cui è stampato sembra provenire dalla preistoria dei computer. dall'altra parte del muro, quella di fianco all'ufficio, c'è una foto di koko e della ricercatrice, che con i capelli biondi mossi dal vento ha un'aria angelica da figlia dei fiori.
in ogni caso, dopo poco il muro smette di interessarmi. l'aria, a parte la gente che parla, è ferma. il tutto, pensandoci bene, somiglia vagamente a una serra. se non altro la luce è quantomeno naturale. il sole, incurante del fatto che faccia già caldo, si stende sugli appunti sparsi sul pavimento. come una cascata di luce gialla, entra anche nell'ufficio del professore, che è proprio davanti a me oltre la porta aperta. sul tavolo ci sono pile di fogli, e libri. ma queste sembrano cose secondarie. la cosa più carina è vedere la polvere da questa visuale. se ne sta in quegli angoli che non ti sogneresti mai di andare a guardare.

è interessante vedere come il pavimento non venga pulito da millenni. sembra sia parte essenziale di tutto questo. è tutt'uno con questo momento e questo giorno, tutt'uno col fatto di stare in terra in posizioni scomode, a guardare il cielo attraverso un vetro così sporco da somigliare a quelli che si usano per vedere l'eclisse. da qui ogni cosa ha un senso diverso. nell'ufficio, vedo le superga blu del professore che si allungano tranquillamente di lato fino a sparire dietro a un cumulo di cassetti. le scarpe dell'interrogato, invece, si agitano senza posa sotto la sedia.



Wednesday, July 8

da qualche parte lontano da qui





devo andare a far la doccia. ma è una sera limpida, e c'è qualcosa che mi trattiene dal fare qualunque cosa. ho quasi freddo star così e lo so, che dovrei andare. c'è qualcosa che manca dannazione, e ho come paura di quello che può uscire dai tasti in momenti come questi. dannatissime sere limpide in cui sono subissata di cose da fare e cose da dire ma inevitabilemente non risolvo nulla e resto qui con questa cazzo di luce abbagliante dello schermo, a cercare qualcosa guardando dalla finestra le sagome nere dei monti nitide all'orizzonte, e ascoltando il vocìo sommesso che vien da fuori, e i profumi della cena già passata, e musica lontana, e un sacco di altre cose in cui vorrei perdermi. c'è una dannata presenza nella mia testa; qualcuno sembra andarsene su di un treno mentre io gli corro a fianco, inciampando sui sassi ruvidi della massicciata. da qualche parte lontano da qui.