Saturday, September 26

l'arte di correre e i salti temporali del sabato sera


dannazione. non deve venirmi da vomitare. non ora. però che fatica cazzo.
poi un attimo dopo tutto è semplicemente fantastico. le gambe vanno da sole e c'è come una scossa di corrente continua che fa muovere il mio corpo, che un attimo prima avrebbe dato qualunque cosa per buttarsi un po' sul prato mentre adesso inspiegabilmente sembra non volersi fermare più.
passo di fianco ad una collinetta fatta di erba brillante e sorrido, immagino di accarezzarla, passandoci la mano come sulla schiena di un gatto addormentato. non riesco a smettere di sorridere. è semplicemente fantastico.
questo avevo nella mente stamattina mentre correvo e rifacevo per la seconda volta quel dannato pezzetto in salita.
ma è per quella sensazione che ho ricominciato a correre. c'è qualcosa che mi attira.
dovrei ricordarmi di pensarci le volte in cui non ho voglia di andare.
sempre, bisognerebbe pensarci.

ho appena scritto una balla colossale via sms per evitare di andare domani a fare un giro. no so nemmeno come cavolo mi sia venuta in mente, una balla così elaborata e credibile. ogni tanto mi sconvolgo da sola per le cagate che faccio. non lo faccio spesso, intendiamoci. cerco di evitarlo.
è che proprio non avevo voglia, di andare. ma proprio zero. e non c'erano spiegazioni alternative. ma alla fine se nessuno saprà mai la verità nè indagherà nè si chiederà niente, che differenza fa? l'importante è che nessuno si faccia male.
nessuno si è fatto male, giusto?
la cosa non mi convince, e infatti per consolarmi e dimenticare la mia meschinità mi sono fatta un aperol con un quintale di zucchero sul bordo del bicchiere, che ora sorseggio e sgranocchio insieme.
cazzo. quante cose. quante cose stanno vagando ora senza meta.

ho avuto un vuoto temporale. c'è stato un vuoto, da qualche parte. come in aereo. non so dov'ero, dove sono stata durante questo lasso di tempo. quando sono tornata in me, stavo guardando il sito della mia scuola. della mia ex-scuola, si intende.
cosa cerchi?
che cavolo stai facendo?
...ehi?
non so niente di tutto questo.
il vuoto temporale mi ha lasciato qui come confusa, e sorridente e mi viene così da ridere, riderei per ore adesso. non provo niente. non è fantastico? non c'è niente di niente che riesca a farmi arrabbiare. non c'è odio. trovo anche un po' di foto del liceo di gente che conosco, le hanno messe così, come presentazione della scuola.
magari ci sarò pure io in qualcuna. di quelle che ci faceva il fratello-fotografo schizzato durante le varie conferenze in sala audiovisivi. lui zampettava qua e là tra le file armato di enorme fotocamera, gesticolando per farci spostare la testa in una posizione che risultasse congeniale alla composizione spaziale della fotografia. questo durante tutta la dannata conferenza, mentre l'ospite parlava incurante dei flash.
le foto venivano immancabilmente oscene. le nostre facce, erano oscene.
minchia.
una cosa spaventosa. anche i professori. un'espressione mista tra disinteresse-noia-allucinazione da lsd-apparizione della vergine. quest'ultima neanche troppo strana, visto l'orientamento della scuola.
quindi ora qualcuna di queste foto è in rete. le nostre facce, il riflesso di un merdoso giorno adolescenziale, tanti corpi vagamente inconsapevoli, e vuoti, vaghi come ombre, perchè così eravamo; e così di noi alunni che cercavamo di evitare l'inquadratura del fratello-fotografo, di noi chiusi in sala audiovisivi, nella noia e nel mal di schiena causato dalle dannate sedie, è rimasta una traccia, da vedere molti anni dopo, per pensare qualche cosa o per non pensare un bel niente; non so, vorrà dire qualcosa tutto questo?
ma io lo so, me lo hanno detto mentre fluttuavo, durante il famoso salto temporale, in un limbo sconosciuto, galleggerai in una pozza di consapevolezza e felicità mi han detto; ma questa cosa, questa cosa delle foto, nell'economia dell'universo, in mezzo a tutte le cose, ha un solo ed unico scopo, serve per ricordarti e stampare nella tua testolina che giorni come questi sono esistiti anche se tu non ne sai niente, giorni realmente senza alcun significato, senza alcuna connessione con la realtà.
questo giorno della foto, è stato uno dei tuoi giorni. congratulazioni.
la vita è fatta anche di giorni insensati.

mi sveglio e non c'è più nessuna foto, il sito della scuola è sparito, probabilmente perchè il computer adesso è spento e lo schermo è nero, e la stanza è buia. fuori dalla finestra la luce del lampione non è mai stata così chiara, e crea disegni arancioni intrecciati alle ombre sul muro davanti a me. qualcuno parla, è nella mia testa, e mi tempesta di domande.
perchè? perchè questo momento così strano è anche così felice e come si generano questi attimi, e perchè non possiamo ricrearli in modo da averli già pronti quando stiamo male, e da dove viene questa scossa che mi tiene con gli occhi spalancati e mi fa sembrare meravigliosa anche solo la luce del lampione sul muro, com'è possibile tutto questo?
e io non faccio altro che ridere fino alle lacrime, perchè so che non c'è risposta e so che è proprio questo il bello, è proprio per questo che rido e piango ed è per questo che questa strana cosa che mi tiene sveglia è un'inquietudine felice a cui non voglio sottrarmi e da cui non voglio scappare.
e questa, dannazione, è l'unica felicità che conosco.



Thursday, September 24

ci sono stati momenti migliori



Le letture pragmatiche di oggi pomeriggio hanno fatto sì che nel momento in cui ho pensato di scrivere qualcosa, stavo già scrivendo qualcosa. Sto già scrivendo qualcosa. Volete sentire, qual è la mia voce? Deve trovare uno spazio adeguato, anche lei. Mi vengono sempre in mente strane cose, strane parole da dire, frasi meravigliose dal suono perfetto, ma non riesco, non sempre riesco a fermarle. Così la voce rimane da qualche parte, nel posto delle cose non dette, suppongo. Che non so dove sia. Forse è anche lui nella quarta dimensione. Un giorno qualcuno mi ha detto che ci sono tante di quelle cose nella quarta dimensione che nemmeno ci immaginiamo. Anche l’odore della felicità, se ne sta lì, assieme alle parole non dette e agli amori tristi e alle cose meravigliose a cui vogliamo dare un nome per tentare di non farle scappar via. Poi loro scappano ugualmente, ma questo è un altro problema.

Così, è una sera di fine settembre, e la cosa non mi piace non tanto per la sera in sè quanto per l’incipit noioso a cui mi costringe. Fuori c’è un’atmosfera fosca e umida, e il cielo bianco sembra una cupola finta. Sembra quei coperchi sferici di plastica che coprendo un piatto caldo si riempiono di vapore. Noi sulla terra siamo il piatto caldo, e quella cosa là sopra è il cielo appannato.

Ad ogni modo, sono le 19.09 e la nonna è andata a letto. L’ho portata, a letto. Molto divertente.
Chiudere tutte le tapparelle su un giorno ancora vivo, intendo. Questa cosa di starsene al buio completo in una stanza mentre fuori è ancora chiaro.
In una giornata come oggi si nota di meno. Ma non riesco a sopportarlo nelle giornate estive, quando ancora le ultime nuvoline rosate si allungano in alto, nel cielo terso. Lasciar fuori una sera d’estate, con tutto quello che può esser una sera d’estate anche solo stando lì a guardarla passare con la finestra aperta, è una cosa che non riesco a capire. Così io semplicemente chiudo tutto, dico buonanotte e scappo via, come sempre un po’ sconvolta dalla non-umanità di tutto questo, e mentre scendo le scale cerco un nome per questa cosa, ma non riesco a trovare che definizioni ex-negativo. Mi viene in mente tutto quello che questa cosa non è.
E la musica e i profumi della domenica, e l’attesa, e tutte le cose che sono, dove le mettiamo?
Non so neanche perchè sto tentando di capire.
Mi sconvolge il fatto che questa cosa effettivamente mi interessi, al di là dell’umana e naturale pietà, e al di là di una sorta di legge che mi dice (e io lo so che è vera, è la cosa più certa che abbiamo) che un essere umano bisogna sostenerlo sempre e ascoltarlo e far sì che viva.
Ma la mente contorta della nonna è sempre stato un mistero. Nessuno ha mai voluto studiarlo. Non è possibile avvicinarsi, a un mistero del genere. E’ come un automa di cui ignori completamente le leggi. Per cui non ho mai cercato di capire oltre una certa soglia.
Il punto è che a volte urge una spiegazione, ed è una necessità dirompente, è quasi peggio di un’esigenza metafisica, perchè quando l’assurdo raggiunge certi livelli poi deborda allagando tutto.

Oggi pomeriggio ho avuto un attimo di sclero, mentre nel salotto polveroso la nonna stava in una strana posizione mezza piegata sulla poltrona, tutta rivolta verso la signora che sedeva davanti a lei. Mormora una serie di cose, il cui significato ultimo è che andrebbe a letto subito e non sa nemmeno perchè si è alzata e non sa nemmeno perchè deve mangiare eccetera. Poi dice:

Tu non sai...tu non sai...eh, è bello avere vent’anni...

Cazzo cazzo cazzo io non saprò un bel niente ma cazzo siamo un battito di ciglia nella storia dell’universo, e non puoi, non puoi sprecarne nè buttarne via neanche mezzo, di quel battito, e nemmeno un quarto e neanche uno 0,00001, non so , vuoi che ti faccia uno schema, vuoi che ti faccia un disegno, serve anche a me per capire, forse poi tutto sarà più chiaro, devo prendere una lavagna?
La vedi questa cosa?
Questa cosa è la vita, e questa cosa cazzo è DAPPERTUTTO, e c’è anche quando chiudi tutte le tapparelle per lasciarla fuori, lei tornerà sempre, è come acqua che non riesci a fermare, e mi dispiace cazzo mi dispiace davvero che a volte noi non capiamo, perchè sai capita a tutti, capita sempre, ogni tanto, di sentirsi di merda, ma mi dispiace, non siamo sassi non siamo erba non siamo alberi, noi vogliamo sempre un senso, noi vogliamo dare un nome alle cose, e stabilire connessioni tra loro e vogliamo amare piangere correre saltare e urlare, perchè noi siamo così.
Non siamo come le bestie dagli occhi spenti, come le bestie spaventate, che trovano forse ogni giorno uguale all’altro, e che vivono nell’attimo, e la cui sola forma di felicità sta nell’essere inconsapevoli. Non siamo come sassi, o sì?

Così, mentre distrattamente guardo fuori, attraverso le tende, il pomeriggio che è passato e il sole pallido sulla ghiaia, dico:
Io ho vent’anni ma anche tu li hai avuti, vent’anni, giusto? E anch’io, nonna, avrò un giorno la tua età, e la mia vita e la tua vita fanno ridere davanti alla storia dell’universo, ammesso che l’universo ce l’abbia, una storia con un inizio e una fine.
Quindi perchè preoccuparsi tanto?

Dopodichè mi sento ancora come prima, forse sto fluttuando sospesa in mezzo alla stanza, l'unica cosa certa è che le tende stanno nella stessa posizione, e la signora sorride per le cose che ho detto; ma la nonna non so, non so se stia sorridendo o cosa stia pensando, io sono distratta, guardo il sole pallido sulla ghiaia, e mi perdo a osservare come ogni sassolino sia meravigliosamente distinto l'uno dall'altro grazie alla luce solare e poi penso a tante altre cose, mi viene in mente un pomeriggio di tanti anni fa, quando eravamo piccoli, quando tutto era semplice e ovattato, e anche la nonna era qualcosa di indefinito di cui non preoccuparsi più di tanto. E mi viene in mente una canzone, che mi sembra parli di tutto questo e molto altro.



It is the evening of the day
I sit and watch the children play
Smiling faces I can see
But not for me
I sit and watch
As tears go by

My riches can't buy everything
I want to hear the children sing
All I hear is the sound
Of rain falling on the ground
I sit and watch
As tears go by

It is the evening of the day
I sit and watch the children play
Doin' things I used to do
They think are new
I sit and watch
As tears go by

Monday, September 14

il primo giorno di scuola


vaffanculo. a tutti senza distinzione. una cosa totale.
nient’altro di sensato potrebbe descrivere la situazione.
mi dispiace. mi dispiace dannazione.


oggi era il primo giorno di scuola.
non per me, s'intende.
molto divertente comunque. significa che adesso quelle stupidissime mamme con le loro macchine enormi e lucide ricominceranno a parcheggiare selvaggiamente sotto casa mia. poi apriranno la portiera e dovranno affrontare il grave problema di come coprire la distanza che le separa dal marciapiede. per fortuna dio ha inventato le hogan, che sono fatte apposta per ammortizzare eventuali salti dal predellino di un suv. le mamme-in lo sanno bene, e ora assieme a hogan, borsetta e imbarazzanti occhiali da sole possono avviarsi in un tintinnare di chiavi orecchini e altra strana argenteria verso il crocchio di mamme già arrivate che stanno sul marciapiede poco più in là.
ci sono anche mamme sfigate, tra loro.
le riconosci subito perchè individuano e seguono attentamente l'arrivo delle mamme-in fin da lontano, lanciando occhiate fulminee nella loro direzione.
le mamme sfigate sono sempre nervose. per forza. non possono reggere il confronto, cazzo.
confronto a cui le altre inevitabilmente le costringono, con le loro movenze sinuose e ammiccanti e le loro stupide chiavi della macchina ben salde in mano.
per fortuna che nel crocchio ci si confonde un po'. le mamme con le hogan arrivano fluttuando nell'aria, sembrano camminare in un'altra dimensione, e anche la loro enorme automobile sembra non rispondere alla forza di gravità tanto è parcheggiata male.
in realtà le mamme con le hogan si muovono come burattini, e urlano invece di parlare, e ridono in modo isterico, e guidano le loro macchine con movimenti scomposti; inoltre sembrano del tutto incapaci di svolgere qualunque attività seria.
Ma questo le mamme sfigate non lo sanno.

Stasera, al supermercato, ho avuto la solita visione. Il supermercato mi fa sempre questo effetto illuminante. Stavo vagando tra gli scaffali e pensavo a quel che mi aveva detto w***, qualcosa come: chissà come saranno invidiose le tue amiche...eccetera eccetera ...perchè io sono una sportiva eccetera eccetera e altre cazzate. Ricordo di essermi chiesta di che cosa cazzo dovessero essere invidiose. Mi sembra la cosa più insensata del mondo.
In più non ha nessun senso, essere invidiosi. Non è una cosa produttiva. Non porta a niente.
La giusta risposta per w*** sarebbe senz’altro stata un liberatorio vaffanculo come quello sopra. Comunque, questa cosa mi è tornata in mente stasera, e mentre camminavo nei corridoi del supermercato, e mi sembrava di essere sospesa da terra, una specie di cosa fluttuante ed eterea, ecco, ho pensato che io che cosa ne so delle mie amiche?
Non ne so veramente un cazzo. E in questo momento sono talmente fuori dal mondo che se tutta la mia esistenza fosse un sogno temo che non me ne accorgerei.

Dopo essere arrivata faticosamente a questo punto del ragionamento, mi sento una deficente. Vedo da me che la conclusione a cui sono giunta è pressochè ridicola. Serve qualcosa che mi risollevi un po’ da questa situazione. Così mi viene in mente mia nonna, che però no c’entra assolutamente nulla. Penso che forse anch’io, un giorno, sarò abbastanza isterica come è lei. Lei risolve la cosa non mangiando.
Così mi immagino a non mangiare, e la cosa mi sembra positiva. Fantastico, mi dico, forse un giorno potrò non aver fame. Questa specie di convinzione sembra compensare la convinzione precedente, e cioè che comunque in qualche modo diventerò anch’io una vecchia isterica.
Tutto il ragionamento si rivela però molto debole.
Mi conosco troppo bene.
Non potrò mai sublimare un bel niente non mangiando.
Se mai diventerò un vecchia isterica, so già che mangerò come un porco, e non ci saranno altre consolazioni.
Ho questa intuizione mentre, sempre fluttuando, vedo passare di fianco a me lo scaffale della pasta e poi quello delle patatine. Non sono molto chiari, anzi in verità è tutto sbiadito e strano attorno a me, ma io so che sono lì.
Mi assale anche il pensiero che magari nemmeno esisteranno più le golia bianca, quando sarò vecchia e isterica. A volte ho il terrore che possano sparire anche adesso, improvvisamente, da un giorno all’altro.

Mentre penso tutto questo e molto altro, svolazzando nel supermercato, una serie di strani odori dal banco della gastronomia mi fanno venire in mentre altre cose, altri luoghi, cose lontane, cose mai viste; e all’improvviso mi vedo da fuori mentre incurante dell’assurdità della cosa sto andando allegra e felice a comprare il pane da qualche parte a new york. Sono sicura che è new york, perchè c’è un ponte e una serie di altri dettagli familiari, di quelli che dal ‘94 se ne stanno incastonati da qualche parte nella mia memoria. Sono proprio io. E so anche che prenderò il pane e un pezzo di apple pie. Non posso sbagliarmi.