Friday, August 23

Non mi è dispiaciuto

Non mi è dispiaciuto, quando mi ha toccato il braccio. Non mi è dispiaciuto, il suo sorriso che pure suonava così strano. Non mi è spiaciuto, sentirmi sfiorata da altre mani e altre parole. La verità è che cerco qualcuno che dia senso ai miei giorni; perché tu non ci sei più.
Che senso ha questa mia attrazione?
Mi pare, stando ferma qua, di accumular tristezza.
Mi pare, incrociando i suoi sguardi, di intravedere una vita nuova dietro l'angolo, appena oltre; una nuova considerazione, un nuovo modo di essere me stessa e di sentirmi. O forse è tutto frutto di quel bellissimo e maledetto momento in cui non fai altro che sentire le farfalle nella pancia e pensi che dureranno per sempre. Ma io aspiro a questo. Io ci credo, che questo sia possibile. Magari mi sbaglio, ma io cerco questo. Se questo non c'è più, posso anche passare oltre.
Io ora sono qui, a tratti soffro, a tratti cerco di recuperare e di avvicinarmi a te ma tu sei sempre distante. Mi accorgo che questa dinamica è logora, non può durare in eterno. Mi stai perdendo. Giorno dopo giorno. Io non vorrei perderti perché in fin dei conti non voglio proprio star da sola. Forse però dovrei farlo. Ma non voglio fare nessun passo. Io sto qua e aspetto, come spesso faccio per altre cose. Stavolta è diverso. Stavolta è una specie di esperimento; tuttavia non voglio farti soffrire.
Io voglio amare, è così difficile da capire? È possibile che quella spinta si esaurisca così presto? Amore è tutto, porta avanti e trascina con sé ogni cosa del mondo, in una felicità voluttuosa ma anche composta, ordinata, meravigliosa. Dov'è, tutto questo? Ti guardo da lontano e sento che quella cosa si è spenta; i tuoi sguardi non mi dicono niente; i tuoi gesti verso di me sono bruschi. Guardo lui e cerco di nuovo quello smarrimento; cerco il brivido, quella piacevole sofferenza agrodolce che tante volte è rimasta insoddisfatta ma che ha nondimeno mandato avanti molti dei miei giorni. Quel sentire dolce, quella voglia di sfiorarlo e di essere soli e tranquilli. Anche solo per una volta.
Piove, adesso. La notte è inquieta ed io anche. Ma sono lucida, perché ora le mie parole riescono a dire quasi con esattezza cosa voglio. Ma non per questo le cose sono più facili e meno dolorose. Sento bruciare quella sofferenza come la prima volta, come tutte le volte. Desidero quel coltello nel fianco.
E così adesso, in questa stanza con la luce spenta dovrei dormire. Chissà se nei miei sogni verrà a trovarmi.
Dio, come vorrei che in qualche modo fosse qui con me, ora. Senza dir niente a nessuno. Solo noi. Tutto daccapo come la prima volta. Aspetto solo un suo segno, per farmi capire che lo vuole anche lui e non sta solo scherzando. Aspetto solo un gesto.
Com'è possibile questo? Eppure di te sono ancora gelosa. Come cavolo è possibile questa compresenza di sentimenti e questo delirio? Eppure tutto ciò riesce a convivere perfettamente in me. Passo da un pensiero all'altro senza controllarne l'eventuale razionalità o logica, con una facilità che mi lascia piacevolmente sorpresa. Vi osservo da lontano e non mi scompongo. Penso a cosa succederebbe se all'improvviso sapeste cosa mi passa per la testa. Penso a cosa penseresti tu, se sapessi i miei pensieri. Immagino che soffriresti. Ma io cosa posso farci? Sento che lentamente mi sto allontanando, ma io non ho davvero fatto niente perché ciò accadesse. Tu sei lontano e non mi guardi, e ti ricordi di me quando è troppo tardi. Io non voglio soffrire e basta.
Io quella cosa la cerco ancora, io ci credo ancora, e se tu hai smesso di cercare non è affar mio.
La notte è lunga.
Mi ritrovo a farfugliare preghiere insensate.
La notte è lunga e piove ancora.
Aspetto solo un suo gesto.


Tuesday, August 20

della salita e della paura, a volte



Perché la strada ci fa paura?
Ti prende uno strano timore sulle salite che non danno tregua. Perché sei in trappola. Tu, la riga bianca che scorre lenta e rugosa, e un silenzio irreale. Particolari che in macchina non vedresti mai, ora possono essere fonte di piacevole distrazione dalla fatica continua.
La strada si muove lenta, improvvisamente la velocita si abbassa e puoi osservare sassolini, detriti, un bruco che attraversa incurante della tua sofferenza e del pericolo. A tratti provi il vago desiderio di fuggire.
Ma la liberta' delle moto che ti sfrecciano a fianco non è per te. Non ora. Mentre loro scompaiono dietro a una curva, tu sei inchiodato a questa strada e devi uscirne con le tue gambe.
Sono interessanti e istruttive, le salite che non danno tregua.  Ti perdi e torni in te, tutte le volte. In quel limbo che sta nel mezzo, accade veramente di tutto. Impari una serie di cose, a dosare le forze se riesci, a scacciare i pensieri cattivi, a trovare un precario equilibrio. Ti fai domande, pensi a chi ce la fa e a chi non ce l'ha fatta, e a volte ti disperi, e, alla fine, in cima sei una persona diversa.
Oggi è accaduto che non avevo più paura. Ho pensato che potevo farcela senza soffrire. Oggi ogni cosa si è sciolta sull'asfalto liscio. Nella strada che si innalzava davanti a me come una lama accecante di sole non ho visto pericolo. Il profumo dei pini, il colore del bosco nel pieno dell'estate, la penombra buia tra gli alberi accanto alla strada erano parte di un tutto finalmente amico, in cui io mi inserivo senza paura e senza scosse, senza quella fatica  insensata dei primi giorni. Accadeva anzi che proprio dalle piccole cose tutt'intorno riuscissi a trarre la forza necessaria per continuare. 
Cosa significa tutto questo?
Nulla, davvero. Quando quel limbo finisce, tutto torna come prima. La strada è di nuovo piana, scende, la fatica è lontana, la riga bianca è un serpente rapidissimo dai contorni sfumati. Senti in te una nuova forza, perché oggi ce l’hai fatta. Ma lei tornerà ogni volta e ti farà soffrire, e ogni volta in un modo diverso. Ma ora che è finita ti illudi di essere al sicuro.
 Tutto quello che ho detto ha senso solo sulla salita. È un mondo a sè in cui valgono regole e leggi di movimento altrove sconosciute. Quando sei lontano, rischi di dimenticare la sua voce, che ti parlava in quegli attimi di sofferenza. Lei è tutto, perché ha in se' ogni risposta.
Che ne sara' di noi, quando non avremo più strade da scalare?
Che ne sara' di noi, quando non riusciremo più a replicare quella sensazione?
E che accadra', quando non potremo più perderci e ritrovarci, sempre di nuovo, sulla stessa salita?

Tuesday, August 6

informazione di servizio


Eccoci! Vi sarete chiesti che fine avessi fatto, non è così? Che fine ha fatto la mia urgenza di parlare, parlarne, comunicare la mia insofferenza verso il mondo.  Invece niente. Nessuna voce, nessun lamento e nessun grido.

Silenzio.

Oh, ma vi assicuro che quel che conta c’è ancora, è tutto dentro. Lo sento rivoltarsi, contorcersi dentro di me come un figlio che vorrebbe veder la luce. Un figlio che non esiste. Senza occhi né bocca. Ma lui è lì e devo liberarmene. È bello, per una volta parlare da sola. È strana, questa mia trasformazione. Non sono più sola, adesso; in verità non riesco a capire cosa mi succede, o forse un poco di comprensione sta iniziando solo ora; sono letteralmente in balia degli eventi.  Giorni e cose, giorni pieni di vita che solo un anno fa desideravo ardentemente senza mai vederli, ora si accavallano, si susseguono, si accatastano letteralmente l’uno sull’altro senza che io riesca a coglierne appieno il senso e la meraviglia. Allo stesso modo, non riesco più a concentrare l’attenzione sulle cose che mi fanno soffrire e mi infastidiscono, oppure semplicemente su quelle che mi colpiscono. Prima era così facile, farsi sconvolgere dalle cose, dagli eventi, anche solo dalle piccole ispirazioni e illuminazioni di cui erano costellati i miei giorni, sebbene quei giorni, a ripensarci oggi, fossero miseri e vuoti in confronto a ora. Eppure, io avevo qualcosa in più. Ero proprio io. Ora mi sento come sdoppiata, perché ci sono io e c’è lui e poi ci sono io con lui. E arriviamo quindi a tre, la cosa si complica.

Cara la mia KK, lei deve imparare una cosa che la salverà la vita nei momenti bui. Lei deve imparare a credere nella sua propria FORZA. Sa cosa significa? Devo proprio essere io a spiegarglielo? Ebbene, la sua forza è quella che le ha permesso di buttarsi nelle sfide. Di continuare a pedalare anche quando sembrava impossibile. Quante volte le cose le sono sembrate impossibili? E quante volte, con la forza e la costanza, ha superato muri insormontabili? Quanti di quei muri sono ora dietro le sue spalle? Li conti, li ricordi uno per uno, ne rammenti la metamorfosi che lei, e solo lei, è stata capace di imprimervi. Questa cosa, è la sua forza.


Sagge parole. Ha in effetti colto nel segno. Troppe volte mi sento svuotata. Lui mi fa sentire così, ma immagino che una parte della questione sia il naturale esito dell’incontro, finalmente, con gli Altri. Da sola era tutto più logico e semplice. Ma non è possibile generalizzare. In ogni caso, dobbiamo continuare il discorso di prima. Quello sdoppiamento mi causa non pochi problemi. È davvero una cosa che non riesco a comprendere. Qualcosa dentro di me ha smesso di funzionare; sono come perennemente distratta. Non riesco a focalizzare la mia esistenza e il suo possibile sviluppo futuro. Sto qui e vivo, semplicemente. Mi godo anche il fatto di poter vedere dei risultati in tutte le mie faticate in bici, a piedi e con gli sci. Prima era come girare sulla ruota del criceto. È successo, ad un certo punto di molti anni fa, che il mio corpo ha smesso di rispondere.  Soffriva e basta. Non c’era allenamento, non c’era avanzamento. Stanchezza continua, a cui mi ero abituata. Pensavo di essere così. La cosa deve aver avuto degli effetti psicologici sulla mia già problematica persona, perché alla fine credevo proprio che fosse un problema mio. Ricordo innumerevoli volte in cui ho dovuto arrendermi perché le gambe non mi reggevano oltre. Ricordo di aver guardato in alto e poi in basso, su una distesa di sassi, e di essere stata lì un po’ con le mani sulle ginocchia, a sentire il sudore correre lungo la schiena e sulle tempie, e da lì andare a impastare gli occhi. A ripensarci adesso, senza voler esagerare, tutte quelle volte in cui mi sono fermata non erano altro che piccole, microscopiche sconfitte. Una dopo l’altra, giorno dopo giorno. Questo non potermi fidare del mio corpo, non poter sapere se resisterà e quanto, mi toglieva fiducia, distruggeva l’immagine di me stessa, mi metteva ogni volta di fronte al mio senso di debolezza. Chissà il mio corpo, la sua povera carne e muscoli e ossa, quanto stress ha subito in  anni di anemia. Chissà la mia testa, dopo anni di debolezza, come deve sentirsi. Oggi sto bene. Niente più stanchezza. Soffro solo quando lo dico io, e poche altre volte. Ma la mia testa è rimasta a tratti debole. Non si fida. A volte ride di me, quando non riesco a spingere sui pedali come vorrei. A volte ride di me e basta, allora io accendo la musica e vado da un’altra parte, finchè la sua voce e la mia voce non le sento più.



Gavia 1988