KK vorrebbe
che tutto durasse per sempre. Vorrebbe cristallizzare il mondo com’era da
bambini. Invece no. Anche la vita felice è sofferenza. Chi ci ha dato il
diritto di ridere? Eppure troviamo i momenti per farlo. Dimentichiamo
volontariamente tutto il male che potrebbe distrarci e ci occupiamo d’altro.
Quei momenti non durano granchè. Nessuna cosa dura, ma noi dietro a
rincorrere.
Una bella scoperta, le persone muoiono. Bisogna vendere la casa.
Che ne sarà dei mobili? E dei cassetti con la biancheria? Tutte le cose intorno
si impregnano di senso. Scacciarlo è impossibile. Nemmeno si può bruciar tutto.
Finchè rimane qualcuno, a rimandare come uno specchio l’immagine degli altri
che non ci sono più, gli oggetti continuano ad avere un senso. Quando non c’è
più nessuno specchio, semplicemente non c’è più niente da vedere.
Un’estate di
tanti anni fa, in Toscana, nella sera tiepida e profumata di campagna, i nonni
giocavano a carte sul vialetto davanti a casa. La notte era tranquilla, sotto
la luce arancione del lampione vedevo muoversi animaletti notturni. Si
sentivano i grilli, e i rospi in qualche rivo d’acqua. La notte poteva non
finire mai, come la fila di lampioni che illuminava la via in salita.
Avanzando, il fascio di luce arancio si affievoliva fino a raggiungere quello
spazio in penombra dove stava in agguato la notte; ma proprio lì, prontamente
iniziava il lampione successivo. In cima alla salita, la strada finiva.
L’ultimo lampione illuminava fin dove poteva, oltre c’era il buio, e un bosco
nero, sibilante alla brezza della sera. Quella collina era il Poggio. Ora hanno
costruito graziose villette, e da qualche parte là in alto una selva di
ripetitori garantisce a tutti la visione del tg della sera. Quando la nonna era
piccola, quella collina era un posto fuori dal paese dove nascondersi. C’era un
podere. La nonna mi ha raccontato che quando dormivano tutti nella stalla, col
buio pesto e il pavimento duro, la cosa più paurosa era uscire a fare pipì. Bisognava
fare presto e stare attenti a non pestare delle serpi. In ogni caso, si sperava
sempre di non incontrare dei tedeschi, che hanno quella parlata così cattiva.
Questa cosa è rimasta addosso a molte persone dalla guerra. Per molti, ancora
oggi, la lingua tedesca genera un terrore senza fine. Così, sessant’anni fa, la
nonna se ne stava chiusa assieme a tutti gli altri, a sentire il rumore degli
aerei che sganciavano bombe sulle dolci colline della val d’Orcia. Come
cambiano le cose. Ora i tedeschi sono pacifici turisti con gli occhi azzurri e
ridicoli sandali, che passeggiano ammirati per le stradine di Montalcino. Ogni
volta, ogni maledetta volta, io scruto i loro occhi in cerca di qualcosa. Sono
azzurro ghiaccio e non vi trovo niente. Sono azzurro ghiaccio e a volte
sentendosi osservati accennano un sorriso. Gli pianto addosso i miei occhi neri
e faccio domande silenziose. Nessuno risponde. Le rondini gridano nel cielo,
tutto il resto è di una tranquillità disarmante. La primavera in Toscana è così
abbagliante che i tedeschi saranno rimasti stupefatti, nell’aprile del ’45. La nonna
mi ha raccontato di quando un americano aveva portato a loro bambini una
tavoletta di cioccolato. La nonna aveva detto che era un ragazzo giovane e che
aveva sorriso; e che era il primo soldato che vedevano che fosse attrezzato di
tutto punto. Come cambiano le cose. La casa dei nonni che stava sulla collina,
da cui si vedeva Montalcino, è stata venduta. Proprio davanti, dove prima era
un prato incolto, ne hanno costruita un’altra che ostruisce la vista. Gli amici
con cui i nonni giocavano a carte, non ci sono più. Il nonno non c’è più. Nella
notte, sulla strada in salita, la fila di lampioni c’è ancora, ad illuminare la
via deserta, finchè in cima non c’è improvvisamente il buio. Tutta la
tranquillità di quella sera d’estate a giocare a carte, tutta la felicità dello
stare lì con i nonni, tutta la mia e la nostra infanzia, è scomparsa
nell’oscurità in cima alla collina. Voglio credere che sia solo nascosta, che
sia solo invisibile ai miei occhi e che un giorno arriverò in cima alla strada
e sarò capace di saltare nel buio. Negli occhi azzurri dei tedeschi non riesco
a scorgere odio. Ora la luna piena mi guarda dalla finestra e sembra che se la
rida alla grande. Della mia irrequietezza, non sembra curarsi. Domando invano
dove fugge la felicità che credevamo di tenere così stretta in pugno. Ma la notte
è così tranquilla, forse non è il caso di disturbare. Di quel che sarà di noi,
nel buio in cima alla collina, nessuno può saper nulla.