Tuesday, September 30

perchè



Mi hai abbracciato e non so il perché. Tu non lo sai, ma io di ogni gesto mi chiedo la ragione. Suppongo che in ogni gesto si possa leggere qualcosa, e la mia mente continua a cercare anche mentre io apparentemente penso ad altro.
Così nascono i sogni strani che mi capitano in questo periodo.
Io ti cerco, ti prendo il viso tra le mani e vorrei farti mio; tu sorridi e sembri cedere ma alla fine fuggi via. Immagino che tra noi sia successo proprio questo. C'era un vuoto e bisognava riempirlo. C'è stato un momento in cui le cose potevano essere perfette, se solo si avesse sempre il coraggio di fare le scelte giuste al momento giusto. Ma questo accade nel mondo ideale, quello dove noi ci raccontiamo l'ideale storia della nostra ideale vita, dove costruiamo immensi castelli fatti di categorie e di eventi possibili, a cui tutte le volte, inconsciamente, paragoniamo la nostra esistenza reale.
Nel mondo mio e tuo e di tutti gli altri, un anno fa, le cose sono andate in modo ben più confuso. La maggior parte di queste cose è accaduta in un luogo inaccessibile e a ben vedere inesistente, cioè la mia mente. Ho pensato e pensato e ragionato e calcolato all'inverosimile, mentre fuori accadevano cose, e più queste erano oscure e prive di dettagli più la mente lavorava per trovargli una collocazione nel castello di cui sopra.
La mia mania di mettere ordine non è servita a nulla. Tutto quel tempo a cercare di capire se non solo io ma anche tu avevi visto qualcosa, avevi sentito qualcosa, e poi in una sera e in una notte un fiume di risposte mi piombano addosso, ci piombano addosso, ma sono troppo concentrate, e così improvvise dopo tanto silenzio da sembrare irreali. Ci guardiamo nello specchio e tu mi dici qualcosa su di noi, su come potremmo essere. Ti guardo attraverso lo specchio, sorrido, e le persone fuori scompaiono. Poco dopo ce ne andiamo dalla confusione e nessuno vi fa caso.
Nel silenzio delle vie deserte, sotto le luci arancio dei lampioni, le risposte sono ora così chiare e abbaglianti da farmi quasi paura; ma tu sembri tranquillo, queste risposte che ora mi dai e che io do a te sono proibite, ma in questa notte in questo parcheggio non c'è nessuno, nessuno sembra conoscerci, le nostre storie fino qui sono come annullate, dimenticate, esiste solo l'attimo e in esso possiamo far finta che questa sia la nostra normalità, possiamo fingere di amarci da sempre, e fingere che quel che facciamo ora lo faremo anche domani e dopodomani, come in un gioco.
Per il tempo indefinito in cui durerà la nostra notte, quel che eravamo fino a ieri è sospeso, nel nostro attimo le identità si annullano, i significati si confondono, ed emerge una verità segreta ma potentissima perché a lungo nascosta e scacciata.
Ma la notte finisce, l'attimo se ne va, e ora io non so come devo guardarti perché non so se quel che è accaduto sia ancora una risposta valida, rappresenti ancora la verità di qualcosa. A tratti la vedo nei tuoi occhi, ma forse, di nuovo, è solo nella mia mente. Il più delle volte cerco di dimenticarmi per sempre la sensazione agrodolce di quell'attimo senza tempo e senza storia in cui ogni cosa era chiara e semplice e non aveva bisogno di essere pensata.
Ma di nuovo quella visione ritorna, ed è colpa tua che mi abbracci ridendo e colpa mia che ti stringo le mani e guardo i tuoi occhi, perché così facendo le risposte mi balenano di nuovo davanti improvvise e inafferrabili, la verità è di nuovo incerta, i sentimenti miei e tuoi confusi come non mai, e sembra che stiamo giocando sull'orlo del baratro pur sapendo che è un gioco destinato a finire. Ma io vorrei chiederti qualcosa, io vorrei capire, io voglio ancora quelle risposte che quella volta mi avevi dato candidamente, voglio quella verità racchiusa in un attimo fuori dal tempo.
Ma niente. È un pomeriggio di ottobre. Il sole se ne va lento e si adagia come una coltre tiepida su ogni cosa e su di noi, che stiamo appoggiati al balcone, vicini, e guardiamo il fiume scorrere placido in lontananza. Parliamo ma ogni cosa mi sembra irreale perché non contiene nessun indizio utile, e le mie parole mi sembrano inutili perché non vi è in esse alcuna domanda, e di conseguenza nessuna risposta. Un anno fa le cose sembravano più complicate, ma viste dalla prospettiva di oggi si tingono di una malinconia idilliaca. Ma l’esperienza insegna che accade sempre così.
A volte vorrei che il nostro gioco durasse in eterno, come la mia mente è abituata a pensarlo, come noi tutti siamo abituati a pensare le nostre simpatiche esistenze, mentre non è così: non vedi che d’un tratto tutto può piombare nel nulla, se dietro una curva un camion non ti vede, se quello nell’altra corsia si addormenta, oppure non si accorge che il semaforo è rosso, come nella canzone dei Beatles. E allora perché pensiamo sempre il nostro gioco come infinito,? Perché rimandiamo il momento di dire la verità pensando che quel momento esisterà sempre?