Tuesday, September 16

Da qualche parte qualcuno sta sognando

C'era questo vitellino che dormiva, in una mattina fresca, ignaro di tutto e di tutti. Per lui il giorno non è ancora iniziato, chissà se sta sognando. E se sogna cosa potrà mai sognare? Erba erba erba, fili d'erba diversi, terra scura, notti di pioggia. Ma lui ora dorme, scosso ogni tanto da fremiti impercettibili, mentre tutt'intorno la giornata è appena nata e la terra comincia a scaldarsi. Sto a guardarlo, dorme come un bambino, ma cosa si ricorderà di questo giorno uguale agli altri? La sua vita è come il suo sonno, non c'è prima nè dopo, non ci sono ricordi nè nostalgia di una passata felicità. Si sveglierà, tra poco, e vivrà di attimi contingenti di cui non ricorderà nulla, vivrà nel tempo come una meteora impazzita, in una veglia che è come sonno, senza ricordi senza sogni, niente passato e niente futuro, una meravigliosa esistenza senza storia.
Io sono qui, mi alzo la mattina e vado a letto la sera, e mangio bevo parlo penso rido guardo le nuvole correre veloci, guardo tutto questo andarsene da qualche parte. Sento che c'è qualcos'altro da capire. Lo sai, lo sai che c'è sempre qualcosa che ti sfugge.



" O greggia mia che posi, oh te beata,

Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
"

Sunday, September 14

revelations

cazzo vedo il mio futuro!!!
Merda è sparito...
Cavoli vi giuro che l’ho visto.....bè non era proprio il mio futuro, ma una specie di visione interstellare e filosofica sul futuro e lo scopo dell’umanità. Comunque fa niente, ora è sparita e io torno alla mia vita normale.

Thursday, September 4

sms

[proseguono pezzi di scritti di quando andavo a scuola....divertitevi]
7dicembre2005h.18.51
mi ha scritto la stefania che se n’è andata dalla nostra classe due anni fa….le rispondo normalmente come faccio normalmente ovvero senza infarcire il messaggio di baci bacini e sdolcinatezze ipocrite, ma non sono ugualmente soddisfatta. Cazzo come posso dirle che ora in classe l’hanno relegata nello scaffale dei coglioni dimenticati di cui ci si può burlare come se non fossero più persone? Perchè siccome una se ne va e puoi star sicuro che non tornarà mai più, che non dovrai più averci a che fare, allora puoi fottertene e trattarla come se fosse una merda e puoi dire di lei tutto quello che vuoi perchè lei non verrà mai a dirti – hey che cazzo dici su di me? - e poi anche se tornasse non avrebbe mai il coraggio di risponderti... merda ci godono loro a fare queste cose. Se io me ne andassi vorrei sapere cosa direbbero. Anzi lo so già, ma tanto chissenefrega.

La scuola è sempre la stessa.e quelle troiette non cambiano...anzi ora si odiano e si scannano fra loro!Cmq va bene,a parte la convivenza.volano insulti!

Ecco questo è quello che le ho scritto e non è esattamente la verità. Non è tutto così divertente come appare dai punti esclamativi, ma meglio non deprimerla troppo. Tanto alla fine anche a me non me ne frega proprio un cazzo di lei. Perchècazzo dovrei preoccuparmi di lei? Perchè devo sempre essere la paladina degli afflitti? Dico tanto ma ora le rispondo solo perchè questo è solo uno stupidissimo messaggio ma non le telefonerei mai, non riuscirei mai a farlo. Cazzo non me ne frega proprio niente di lei, lei e tutti quelli che sono passati da quella classe di merda e poi se ne sono andati. E poi probabilmente li odio perchè mentre loro se ne sono andati io sono ancora qui merda. Merda. Vaffanculo......

Wednesday, September 3

I am the resurrection and the life. Whoever believes in me, though he die, yet shall he live
and whoever lives and believes in me shall never die.

Tuesday, September 2

cronache da un lunapark - dubai 2006

[ Un po' di pazzi resoconti del viaggio a dubai del 2006. Tutte le altre foto le trovate QUI ]

STORE GUIDE. È scritto sulla mappa del mall, di fianco alla foto di una tipa molto occidentale seduta davanti a un drink con le mani presumibilmente strabordanti di sacchetti. Un foto un po’ del cavolo, tutta sui toni del blu, e la scritta arancione nel mezzo. La guida l’ho presa la prima volta che ci sono andata, nel mall, quella mattina in cui daddy doveva stare in ufficio. Veramente non ricordo la sensazione del primo giorno. Il fatto è che io non avevo capito che fosse così grande. E poi all’inizio non c’era nessuna sensazione, siamo arrivati all'hotel alle sei di mattina e io ero tutta presa dalla hall alta una ventina di metri, non riuscivo a staccare gli occhi dai muri di acqua in movimento dietro ai banchi della reception. Il pavimento candido di marmo e una serie di divani enormi fatti a onda, e un gran freddo secco. È una cosa a cui ci si abitua dopo un po’ di giorni, l’impatto con l’aria condizionata rispetto alla sauna umida che c’è fuori. Poi il tipo della reception ha detto, incalzato dalle domande un po’ sconvolte di daddy: yes sir, yes, ski dubai is there. You can see the slopes from the mall, it’s just straight over there. Slopes?? Ci sono delle piste da sci. È normale. In fondo alla hall, in lontananza, c’è una vetrata da cui si intravede un paesaggio biancastro. Il tipo mi guarda e dice con aria normalissima, raggiante e sorridente: go! You can go. It’s over there. Già l’avevo vista dal taxi, la pista racchiusa nell’astronave di metallo, e mi sembrava sconvolgente che il nostro hotel fosse proprio lì. Ci avevano spediti proprio sopra ski dubai, senza che nessuno ce l’avesse detto.


Ecco il mall, oltre la porta a vetri e gli scalini bianchi che lo separano dalla hall dell'albergo. Un po’ più in là, c’è la neve. Dietro i vetri sta nevicando fitto, e sull’alberello finto e il ponte di legno e la pista di bob c’è già uno stratino bianco. Mi avvicino al vetro tutto bagnato, dove la condensa cola fino a formare un laghetto sul davanzale che sta sotto. Più tardi mi spiegheranno che la notte nevica fino alla mattina presto. Siamo arrivati in tempo per la nevicata, sono le sei e mezzo. Intorno c’è il mall, ma io non so ancora cosa significhi, non so che i corridoi che vedo alla mia sinistra vanno avanti quasi all’infinito e che è pieno di scale e negozi e bar e ristoranti. Sono tutte cose che vedi solo gli ultimi giorni, e siccome una settimana non è sufficente a immagazzinarle tutte, ti perseguitano per giorni anche quando sei tornato nel mondo normale.

Una delle ultime sere ero lì che giravo nell’unica zona del mall dove riuscivo ad orientarmi decentemente, stavo aspettando daddy per mangiare. Nel frattempo giro un po’ a caso, pensando in quale della fila di dieci ristoranti possiamo mangiare stasera. Questa è la food court n.1 del 2nd floor del mall of the emirates. I ristoranti stanno tutti attaccati, con i tavoli uno accanto all’altro in un enorme area aperta, in ordinate file dove confinano ristoranti giapponesi con indiani e indiani con iraniani e iraniani con libanesi. Famigliole saudite grasse, molto grasse, mangiano ai tavoli, capifamiglia debordanti in abitone bianco e kefiah rossa pulitissima stanno in bilico sulle seggiole. Io scorro tutti i ristoranti guardando i menu come se dovessi scegliere un pacchetto da comprare al supermercato; è pieno di nomi pieni di k e h e j in posizioni inpronunciabili, e sotto un’appossimativa descrizione della pietanza in inglese. C’è questo grande menu su un piedistallo, davanti a tre gradini che conducono all’area in fondo alla quale c’è il ristorante vero e proprio, inteso come cucina, cassa, eccetera. La scelta è difficile dannazione. Mi guardo intorno, brulica di gente e donne tutte nere con visibili solo gli occhi ben truccati. Ragazzi molto alti molto magri molto abbronzati e molto belli nella loro tunica bianca e la kefiah arrotolata sulla testa sembrano muoversi veloci come se fossero sospesi a pochi centimetri da terra. Altri vanno lenti con aria sofferente, hanno tutti degli assurdi sandali molto simili tra loro, differenziati soltanto dal tipo di pelle di cui sono fatti, il più orrendo è stato sicuramente uno in pelle di struzzo, lucidissimo e sciabattante sullo splendente pavimento di marmo del mall.

In ogni caso sono ancora ferma alla scelta del pacco cena per stasera, una sera così speciale, fra tutte queste luci e questo risplendere di cose e di benessere, e la mia piccolezza in mezzo alla food court mi fa sentire strana e sento che l’unica cosa che posso fare per interagire con tutto questo è, a parte lanciarmi nello shopping, scegliere un ristorante e mangiare.

La scelta è resa più complicata dall’odore penetrante dei pop corn dolci che viene dalle circa quindici casse e bar del cinema multisala che c’è di fianco alla zona ristoranti. Una cosa che ti fa passare la fame e ti confonde totalmente. Niente è normale, qui. Il luna park per adulti se ne sbatte di tutto, non ti fa pensare a niente, ti abbraccia con la sua grandezza e ti riempie gli occhi e la giornata, e non ti fa preoccupare di nulla. Qui tutto è pulito e ordinato, è qui per te, tu che non ti accorgi dell’omino indiano ben vestito che passa l’enorme lucida-pavimenti a forma di forbice inosservato, perchè i pavimenti del MOE siano sempre splendenti, per te. Non ti lasciano neanche il tempo di chiederti cosa c’è dietro, il tuo compito è non preoccuparti, adesso. Niente è normale perchè tutto è troppo perfetto, i ristoranti hanno tavoli attaccati ma a nessuno frega della concorrenza, non è che quelli del messicano ce l’hanno con quelli di fianco o roba simile. Anche il profitto è artificiale, anche quello che vanno a guadagnare oggi e domani è in qualche modo garantito, è già stato calcolato. Anche tu visitatore sei già stato calcolato. Mi godo questo momento di euforia per la mia entità di numero di visitatore, mi godo il mio posto nelle previsioni numeriche che qualcuno avrà disegnato su una lavagnetta a proposito del turismo a dubai del 2006. Non è divertente? Stare qui è bello, sembra proprio tutto quello che ti serve sia qui. Ci saranno momenti peggiori, ora sono fresca e tranquilla e aspetto solo di mangiare.

Gli ultimi giorni invece, quando andavo al mall sempre più tardi, la cosa diventava abbastanza stancante. Cercare un negozio con la mappa in mano e andarci a piedi era una fatica terribile. Cammino velocemente, ma il posto sembra sempre più lontano, ci sono queste cazzo di scale mobili sparse per ogni dove ma sono lontano da dove sei tu e generalmente scendono quando ti serve che salgano e viceversa. Supero l’enorme area giochi per bambini, con riproduzioni ad altezza uomo di animaletti tipo mosche e zanzare. In questa zona il tetto è di vetro blu fatto ad arco e trasparente sulla notte. C’è un incrocio di corridoi lunghissimi e pieni di luce calda e colori tenui, non sono sicura che sia questa la direzione nonostante la mappa con i suoi numeri a tre cifre mi indichi che sì, lo store n.423 è proprio in quella direzione. Mentre avanzo ho l’impressione che ci metterò un sacco di tempo a tornare indietro, e pensieri del cazzo mi affolano la mente annebbiata dalla stanchezza. Non ho fame. Non ho mangiato niente oggi, ma non ho fame, è come se lo stomaco mi si fosse ristretto. Solo che se non mangio svengo perchè non ho più molte energie. Poi in effetti la temperatura fresca del mall oltre a congelarmi le ginocchia mi stimola leggermente l’appetito. Ho perennemente voglia di un milkshake, ma non trovo il posto dove l’avevamo preso l’altra volta, non ho idea di dove sia nella selva di numeri di bar che sono sulla mappa, e comunque sono sicura che è dalla parte opposta rispetto a dove mi trovo adesso. Continuo a pensare a dove sarà daddy e spero che torni presto perchè ho bisogno di sedermi e mangiare qualcosa per scaldarmi. Esploro una zona del mall sconosciuta per passare il tempo, ci sono dei negozietti abbastanza stupidi pieni di cose arabe molto turistiche tipo cammellini di legno di varie misure o caffettiere di ottone tutte decorate. Mi perdo in mezzo ai souvenir, non compro niente, non ricordo se per mancanza di soldi o per noia. Poi continuo a camminare per i corridoi. La luce riflessa dai corrimano dorati e i muri pulitissimi e il lieve sottofondo musicale di voci e musichetta ambient mi frastornano.

Le vans sottili ai miei piedi trasmettono al mio corpo il duro del marmo; lo guardo distrattamente, mi vedo riflessa tanto è lucido. Ho le ginocchia congelate e i piedi che mi fanno abbastanza male ma in un impeto di eroismo apro la mappa e mi concentro per ricordare il nome del dannato posto dove avevamo preso il milkshake al mango con daddy. C’è un’altra food court segnata sulla mappa, cercando di non pensare quanto è lontana mi avvio incerta, ci arrivo ma non c’è traccia di ristoranti, mi accorgo che la bastarda è al second floor cazzo ecco perchè. La scala mobile non si trova. La individuo rabbiosamente e le vado incontro. Il milkshake è là, il posto ha un nome che ispira cibi sani ma non è altro che uno dei bar e fast food che affollano questa food court, molto meno raffinata di quella dove andiamo di solito; quassù c’è pure un mongolian barbecue e un noto mc donalds senza carne di maiale. Non so perchè ma alla fine non prendo il milkshake, qualcosa mi distrae, qualcuna delle mille cose che ti trascinano senza meta da una parte all’altra del mall, poi mi chiama daddy che ce l’ha fatta a riconsegnare la macchina a noleggio e così devo tornare della nostra zona, al ristorante che non ho ancora scelto.


Le famigliole saudite hanno già mangiato e se ne vanno dondolanti, gruppetti di donne nere ridono e parlano concitate tra loro, borsetta molto fashion sulla spalla, occhiali neri alcune, incredibilmente normali a parte il coso nero. Davanti alle vetrate di ski dubai i sauditi guardano rapiti la neve. Fuori, appena fuori dal mall e dall’hotel, nenche tanto lontano da tutto questo, la fila di valet parking (parcheggiatori) in divisa elegantissima suda nella notte bollente. Operai con le tute uguali tornano o vanno al lavoro sui pulmini scassati che camminano lenti su una corsia della sheik zayed road; certi non hanno nemmeno la portiera. Intanto la nostra vita scorre normalmente nel mall. È ora di mangiare e io e daddy ci sediamo al ristorante indiano, dove ci serve una tipa filippina. Più in là, al ristorante italiano, camerieri e cameriere cinesi vestiti con un cappellino di paglia fanno coppia con lo stile vagamente napoletano dell’interno della sala, con tanto di finte finestre e finti panni stesi e oliere e altre cavolate mediterranee dipinte sui muri. Odore di pop-corn dal cinema multisala poco più in là. Il nostro tavolo confina con quello giapponese. Camerieri di nazionalità opposte rispetto al ristorante dove lavorano servono ai tavoli. Confusione. Ti chiedono le cose in un inglese incomprensibile e molto approssimativo. Molta confusione. Odore di sushi misto a kebab e a pop corn.
Gli omini con la kefiah non smettono di guardare la neve.