Sunday, October 25


Scritto a mano sul quaderno, indecifrabile come sempre
Questo è un addio
Vorrebbe essere l’addio di oggi che non sono riuscita a sopportare
Mi dispiace
Per un sacco di cose dispiace sempre, e sempre è tardi
Ma non importa
Non mi interessa se è tardi
Oggi mi è sembrato di vedere una bandiera bianca in cima alla croce della presolana
E’ stato abbastanza
E’ stato giusto così
Qualunque cosa voglia dire giusto

Thursday, October 22

κἁθαρσις (katharsis)



Karloz K. è sconvolta.

Karloz K. non riesce a smettere di pensare e non vuole rassegnarsi.

Karloz K. è proprio sconvolta, ma non vuole dirlo.

Ci sono cose che muoiono, attorno a lei, cose che se ne vanno prima del tempo e altre che vanno via in perfetto orario secondo la legge che già conosciamo, ma a cui non vogliamo abituarci.

Sia l’una che l’altra di queste cose hanno rotto qualcosa, nell’equilibrio di Karloz K. . Adesso c’è rabbia, e avvolge tutto e tutto fa ruotare come un tornado, e lancia in giro pezzi sparsi, parole e ricordi che sembrano staccati da tutto. Sembrano veri. Da qualche parte sono sicuramente veri. Forse non nella nostra dimensione. E così K.K. cerca soluzioni, vie di fuga. Talvolta le crea dal nulla, vede che non stanno in piedi e le scarta. K.K. fa questo a tutte le ore del giorno, oltre a continuare a darsi schiaffi e pizzicotti sperando di svegliarsi.

Karloz K. stasera si accontenterà. Anche se ha sempre odiato accontentarsi. Odia anche arrendersi, smettere di tentare.

Ma K.K. adesso non può che odiare, proprio ora proprio qui, proprio in questo istante e in quell’altro, maledetto. Odia le cose che non vanno come dovrebbero andare. Ed è curioso, perchè le sembra di avere la testa chiusa in un sacchetto di plastica.

Karloz K. vorrebbe salire, correre su di un sentiero erboso facendo finta che non sia successo niente, come poco tempo fa poteva fare, perchè fino a ieri, solo fino a ieri poteva farlo. La montagna è tranquilla, ferma nell’azzurro. Ora anche il loro sguardo odia, pur sapendo che non può odiarlo; e questo incasina tutto; questo, tutto quello che viene dopo, è confusione massima. Lui non vorrebbe che le odiasse. A suo tempo, lui non le ha odiate. Loro hanno portato via in silenzio qualcosa di suo e lui per tutta risposta le ha amate ancora di più.

Ma ora K.K. non sopporta più le montagne dallo sguardo assente. È uno sguardo senza occhi e ora è improvvisamente invadente. È oltre ogni misura, è troppo troppo e troppo

***

K.K. vorrebbe essere felice per la prima spruzzata di neve là in alto. L’anno scorso nello stesso periodo ci aveva camminato, sulla prima spruzzata di neve.

Era scricchiolante. Era fredda. Meravigliosa.

K.K. era arrivata sulla cresta oltre la cima verde all’alba e il cielo era grigio e l’aria gelata, un vento freddo saliva dalla valle, e tutto era perfettamente nitido. E K.K. ricorda di aver riso e amato tanto quel vento assurdo mentre per la troppa aria gli occhi socchiusi le si riempivano di lacrime congelate, lacrime di felicità per quel vento e quel giorno appena iniziato e perchè in realtà stava morendo di freddo come al solito, una maglietta e il pile non sono ovviamente sufficienti e allora il lato sinistro è mezzo congelato, e l’aria che entra nei polmoni è troppo fredda, ma K.K. continua imperterrito a camminare sulla cresta, inciampando, e non smette di guardare quello stratino bianco su cui mette i piedi, e si stanno congelando anche quelli ma lei continua a ridere e non sa bene il perchè, ma sa che lui lo sa, il perchè, così come lo sa la parete là in alto, che ora si perde nel grigio del cielo. K.K. si ricorda troppe cose. Non sa se riuscirà ancora a salire quella cresta senza che lui le appaia davanti agli occhi, mentre corre verso lo spigolo con una corda messa a tracolla, come è stato in quella bella mattina di settembre. Perchè corresse nessuno mai lo saprà.

K.K. sa che dovrebbe lasciar andare. Dovrebbe smetterla. K.K. ha paura, ma non vuole più odiare.

Ora corre sulla cresta, e il vento le ha completamente congelato la parte sinistra della faccia, il braccio e tutto, e la neve scricchiola, e scivolano i piedi sull’erba che c’è sotto; e K.K. ride, o forse piange, perchè è convinta che tra un attimo tornerà giù, giù per la stradina di sassi, e arriverà al rifugio appena in tempo, arriverà prima che faccia buio, prima di non vederci più niente, ed entrerà dalla porta sul retro nella luce abbagliante della sala e tu sarai lì, al tavolo con la cena e con gli altri e sorriderai con gli occhi illuminati e riderai anche tu, mentre fuori è proprio buio ora, e freddo, e lo strato di neve se n’è andato già.

***

Con queste parole K.K. vuole lasciarti andare. Ti ha detto tutto questo perchè sapessi quanto fossi importante per noi; quanto il tuo esserci fosse qualcosa di già dato ma di essenziale come lo sono l’aria, l’acqua e qualunque elemento naturale; e che era un bambino quello che correva una mattina di settembre.

K.K. tornerà anche sulla cresta a salutarti, quando tutto questo sarà passato.

Guarderà la valle e la rabbia si scioglierà in silenzio, nell’aria fredda che sa di inverno e di legna bruciata.

Tutto questo, ogni nostra parola diverrà neve.

Guarderemo ancora in alto senza paura.




Wednesday, October 21

se così sei felice


C’è un bambino che corre . Lo seguo con lo sguardo.

C’è un bambino che sale sul prato scosceso, e sopra brillano le rocce, altissime e nitide al sole; le rocce toccano il cielo; il bambino si ferma e le indica guardando in su.

Ci sono tanti adulti, ma qui non c'è nessuno. Giù, tanti grandi ridono e sembrano divertirsi, e parlano di cose da grandi e parlano di cose serie e sembrano avere in mano le chiavi del mondo. Le loro risate spavalde arrivano fin quassù. Il bambino non ha orecchie per sentirle. Sorride in silenzio e continua a salire. Il bambino non vuole avere chiavi, e non si riempie la bocca di parole; non pensa di sapere tutto, non ha nessun nemico; calpesta l'erba lievemente, accarezza i sassi su cui cammina.

Gli adulti hanno cose, ma gli adulti non sono niente; non si fanno domande; fanno un gran rumore.

Il bambino sa solo quello che gli serve.

Il bambino ha ora il naso all'insù, e gli brillano gli occhi scuri quando guarda il cielo lontano.

Non vuole altro. Forse solo lui ha capito tutto.

Solo il bambino è felice.

***

Hanno detto (lo dicono sempre):

quelli prima di lui sono passati e non è successo niente.

Così mi sono un po' incazzata col mondo e con le cose, più di quanto non lo fossi già, e ho pensato troppo, e per un attimo ho anche odiato la montagna che se ne stava placida nel cielo azzurro.

Cioè ho testato tutti i possibili sentimenti generati da questa cosa.

Poi mi è passato, forse.

Sento voci sommesse che conosco a memoria e sussurano qualcosa, ma io non capisco, ora proprio non capisco, parlano in un'altra lingua forse, è una voce portata dal vento.

"Se così sei felice"

***

questa cosa mi martellava in testa senza sosta. Una musica ripetitiva e dannata.

Perchè?

Infatti perchè era la seconda cosa, che mi martellava in testa.

Neve e una corda. Erano le altre due cose, a martellarmi in testa.

La notte stellata nella valle, anche.

Guardando in su, un dolore nero, punteggiato di stelle silenziose e sorridenti. Qualcuno, forse sei proprio tu, se la ride, ora che tutto è finito.

Le montagne sono sagome nitide contro il buio. Le guardo con rabbia.

Odio anche voi, sappiatelo.

Vorrei urlarlo, ma so che tornerò ancora ad amarle, tornerò con la coda tra le gambe. In un’altra notte, tutto sarà chiaro. In un’altra notte, ti vedrò sorridere, e capirò quel che c’è da capire e che ora sfugge.


***

Questa è la nostra vita. Così si sceglie. Ma perchè?

Vorrei che fossi rimasto qui con noi. Potevi rimanere, e insegnarci come, come si può amare anche le rocce appuntite e il freddo che taglia il viso e la fatica, e tutto quello che sembra impossibile amare, tutto quello che c’è là fuori e sembra così indifferente, nella notte nera della montagna. Perchè?

Dovevi ancora insegnarci a capire le cose che sfuggono. Ad esempio come si può amare ancora, nonostante tutto, qualcosa che ti ha portato via così tanto.

Queste cose ci si mette una vita, a capirle. Ora tocca a noi capirle da soli, perchè forse non c’erano davvero parole per spiegare.

Quando questa rabbia che riempie gli occhi di lacrime sarà passata, forse, cercheremo di capirlo, cercheremo come ci hai detto, cercheremo ovunque, quando nella vertigine guarderemo giù, oltre la corda. Perdendoci nella parete arancione di sole. Sentendo i passi dei camosci nel cuore della notte. Siamo soli, ma non smetteremo di inseguire quel bambino.

***

Così, succede che queste cose mi uccidono. Non solo me. Uccidono chi si fa uccidere. Queste cose ci lasciano sbattuti in terra a guardare in su. Voglio vedere oltre. Voglio vedere la notte stellata senza dolore. Silenzio senza attesa. Senza paura. Ma lo so che qualcuno già sorride, adesso, adesso che tutto è finito, e rideremo anche noi un giorno, ameremo di nuovo anche noi. Ora no però.

Per ora, questa cosa è insopportabile. Questa cosa bisogna capirla pian piano. Questa cosa è una strada e noi avanziamo a piccoli passi.

È una cosa che c’entra con la felicità, e con la neve e con una corda; è una domanda che si ripete all’infinito.

***

Sapete, ci sono veramente un sacco di cose che potremmo non fare. Possiamo decidere di stare al sicuro. Possiamo dormire sonni tranquilli o possiamo correre, inquieti.

Possiamo scegliere un sacco di cose.

Ieri ero in macchina, seduta dietro. Guardavo il paesaggio e le cose fuori sfrecciare. C’era un bar. Uno di quei bar con grandi tavoli all’aperto con giovani idioti (il mio stato mentale non poteva che identificarli così) letteramente spalmati su sedie o panche o direttamente sui tavoli, e c'erano cose da bere e altre cagate. E c’era una domenica pomeriggio fredda, leggermente grigia, una domenica che sta finendo, e che era una presenza reale, un'atmosfera che sembrava di poter toccare. E poi, domani, ci sarà anche un lunedì che sarà una gran rottura di palle.

A un certo punto è successo che ho odiato tutto questo. Ho odiato il bar, i giovani e ho odiato questa domenica pomeriggio così dannatamente piena di cose che non vanno. Con la testa contro il finestrino pensando tre cose senza alcun collegamento. La cosa aveva superato il limite. Tutto questo, tutto assieme era andato oltre, oltre ogni capacità di sopportazione. E ogni cosa adesso è automaticamente stupida e insensata e l’odio scorre come un fiume sotterraneo che si mangia tutto e vaffanculo a voi e ai vostri tavolini e ai vostri cocktail e a tutta la vostra merdosa razza di giovani-della-domenica-pomeriggioche non potrà mai estinguersi. Contenti voi. Anche a te col cappellino, la sigaretta e lo sguardo spavaldo, vaffanculo.

Non ho niente da dire, alla fine.

Nemmeno sono affari miei.

Torno a guardare la strada scappar via, e dopo tutte queste considerazioni mi sento anche peggio di prima.

***

C’è un bambino che sale sul prato scosceso, e sopra brillano le rocce, altissime e nitide al sole.

Non smetteremo di inseguire il bambino.

Grazie grazie grazie, davvero, per non aver mai smesso di inseguirlo.

Solo il bambino è felice.