Monday, December 28

Veni Vidi Vici







Vedo l'esistenza nelle sue più minime determinazioni. La vita come può essere, come forse sarà, oppure come non sarà mai.
Non è forse questo a portare alla disperazione?
Sapere già come andrà a finire. Sapere in partenza di non poter trovare le parole. La rabbia che divora tutto. Capisco solo ora che cos'è davvero la furia cieca. Già il mio corpo non risponde più, non vuole saperne, si contorce in un odio senza direzione. Non sa risolversi. Come potrebbe?
La mia mente ormai è fissata, dovrò dirtelo, prima o poi dovrò confessare tutto. La rabbia, la rabbia che tutto trascina con sé è energia che sgorga da chissà dove, energia che toglie altra energia per il resto. Da dove arriva questa maledetta agitazione? Dal confronto, dal continuo pensare agli altri, che è un continuo pensare a se stessi. Vorrei essere un sasso del fiume su cui l'acqua di anni e secoli scorre senza traccia. Sono invece una foglia nell'aria della sera, il profilo nero, nitido e perfetto delle montagne non fa che peggiorare le cose; l'orizzonte ancora chiaro, azzurrino, mille colori diversi in una luce perfetta, attirano e respingono la mia mente stanca.
Sono molte cose assieme, oggi.
La rabbia vuole qualcosa di me, un pezzo da portarsi via, scappo sempre più in alto sperando nella catarsi, lei mi raggiunge, fuggo di nuovo. E di tutta la mia fuga, non ti è dato sapere nulla. Chissà poi quanto potrebbe interessarti. Ecco, altra rabbia a questo pensiero. Altra rabbia sapendo che è inutile. Altra ancora scrivendo queste parole, insensate tranne che per me. Ma io, tu, noi, cosa siamo? Sassi del fiume in attesa di una piena? Seguiamo il corso delle cose e della vita come fosse un corso naturale, semplice, già inscritto in regole archetipiche e originarie? E perché mai dovremmo?
Una notte, quella notte, forse un po' prima, ti confesserò tutto. Non mi interessano né Io né Tu, perché se vuoi saperlo lo e Tu non esistono.
Non esiste nulla, se non quello che noi vediamo e vogliamo vedere, ma a te questi discorsi sembrano un delirio, non è così?
Eppure qualcuno fuggirà, qualcuno dovrà fuggire nella notte in cui voglio dire la verità, e smetterla di far finta; non è colpa mia se non sono un sasso del fiume, un ramoscello nel vento, non è colpa mia se non mi piace seguire il corso delle cose come fosse physis, natura cieca e senza scampo. Dal momento che ci è possibile scegliere, tanto vale farlo.
Chissà, chissà in quella notte chi fuggirà via.
Chissà chi di noi rimarrà confuso, a guardare Orione che silenzioso, luminoso, lento, attraversa inesorabile il freddo cielo invernale.

Saturday, October 17

13 ottobre



Non ti rendi conto
Le tue parole nella notte
Sono di troppo
Ogni cosa è di troppo
Il tuo sguardo, occhi, sorrisi
Ti avvicini ma chi può sapere in che cosa questa sera è tanto diversa da quell'altra
Chi mai può indovinare
Da che momento in poi l'una può trasformarsi nell'altra
Confondersi
E dove c'è confusione c'è spazio perché le cose accadano
In un arco di tempo come questo
Poche ore in una sera
Può succedere di tutto
È in effetti successo di tutto
E nessuno sembra saperne niente
Anche noi
Ce ne siamo dimenticati
Ma a volte da certi sguardi pare di no
E la confusione sembra sul punto di ritornare
Per un po' prego che torni a inghiottirci
Quando poi non accade nulla
Sto peggio di prima



Friday, July 17

matrimonio



Parlano di smettere di fumare. Nel frattempo, poco più in là, stanno fotografando gli sposi davanti alla piscina. Ci sarà un album immagino, lo si tirerà fuori in qualche distratta occasione per rievocare quel giorno. Sarà passato del tempo, ma i riflessi della piscina nella sera di luglio saranno rimasti intatti. Eccoli che ti guardano, e assai beffardi brillano ancora. In quel giorno e in quell'album figurerò anch'io, da qualche parte. La mia presenza sarà nell'aria, nell'atmosfera, e lo stesso per ogni invitato. Ma per ora io sono altrove.
Gli altri sembrano invece molto presenti. Molto intenti a mostrare una certa coerenza nel loro essere: nelle movenze, nelle parole e nei gesti. 

Anche io sembro coerente. Poi a tratti mi estraneo. Cerco luoghi solitari. Scorgo molti metri di balaustra liberi dalla gente e vado ad appoggiarmici stancamente, e guardo l'acqua azzurra della piscina farsi più scura, immagino un tuffo, le sdraio stanno ordinatamente ripiegate su se stesse e solo per gli sposi ne è stata aperta una, dove ora siede la sposa e il suo abito con dietro il fotografo e lo sposo che si è tolto la giacca e la tiene sulla spalla, sono molto ordinati, specialmente nello sposo non c'è traccia dell'imminente sbragamento che seguirà la cena, la cravatta è ancora al collo e la camicia liscia e pulita. La sposa rimarrà invece sempre perfetta, sempre in ordine e senza una grinza, ma del resto lei ha un vestito che sembra una caramella, tutto intero, senza alcun pezzo che possa togliersi o smontarsi. Come sarà domani? Sarà dura tornare, dopo tutta questa perfezione, alle normali giornate in tuta davanti alla tele?
E per me, ci sarà mai qualcosa di simile? Riuscirò mai a considerare un giorno o un evento così importante da chiamare tutti a raccolta, tutti intorno a me? Ma poi tutti chi?
Per adesso, in ogni caso, ho problemi molto meno gravi. Appoggiata alla balaustra, con gli occhi persi nell'acqua della piscina, sto sperando in qualcuno che venga ad annunciarmi qualcosa. Che venga a consolarmi, o almeno a salvarmi da queste distruttive divagazioni. Come mai dalla montagna non ho mai visto la piscina?
Nessuno sta pensando a questa cosa, ora. Ci sono cose ben più interessanti da fare e da pensare. Molti panini al latte ripieni di un velo di burro e una fettina di prosciutto stanno ordinati su un tavolo immenso. Molte possibilità stanno, esattamente come i panini, ordinate su un metaforico e immaginario tavolo davanti a cui io me ne sto immobile come se davanti vi fosse un vetro. Molti panini, lucidi, dorati al punto giusto, soffici e invitanti sembrano chiamarmi, sono altrettante possibilità, ma io niente, sono paralizzata e a tratti impaurita.
Come mai sto aspettando qualcuno? Quel qualcuno è tra i suddetti panini? E chi se li mangerà, i panini avanzati? Qualcuno se li porterà a casa, almeno spero. Di certo qualcuno si porterà a casa, tenendole per mano, le molte possibilità che io non ho saputo cogliere al volo. Al mondo è pieno di gente furba, più furba e più pronta di me. Al mondo è anche pieno di idioti, ma le vostre foto non sembrano recare traccia di questa stupidità, e anche tu non sembri accorgertene, anche tu in fondo come me potevi dare un segno, potevi indicare un panino, potevi puntarlo e poi agguantarlo, lì in mezzo a tanti, dolce, morbido, perfetto, e invece sei rimasto lì proprio come ho fatto io.
La verità è che oggi siamo qui per non pensare a dove andranno salatini, dolcetti, antipasti e panini, e nemmeno dobbiamo preoccuparci di quanti mangiarne e quanti lasciarne sui vassoi, e di quanto bere e di dove lasciare i bicchieri; e dunque ecco arrivare vassoi di ostriche trionfanti in mezzo a ghiaccio e spicchi di limone, chissà da quale mare sono state strappate per finire qui, ma non ne avanzerà nessuna, e poi ecco comparire verdure pastellate e olive ascolane e mozzarelline impanate, ma i panini stanno là e mi guardano, non è tempo di pensare a loro, oggi no, oggi è un giorno fatto apposta per non preoccuparsi di che fine faranno eventuali briciole e avanzi; oggi la regola dice di vestirsi bene e fare finta che non ci sia un domani.
Ma il domani è già ben presente nell'oggi, specialmente nei soggetti dissociati come me. Oggi io non ho smesso di essere più o meno come sono sempre.
Come mai chi vorrei qui non c'è?
Quanto tempo riuscirò a restare immobile a guardare i panini, le vite degli altri prendere direzioni forse definitive, l'acqua dolce e liscia della piscina increspata dalla brezza della sera, quanto tempo prima di saltare la balaustra che mi separa dall'acqua e ritrovarmi giù, ma tu dove sei, tu cosa fai, tu nemmeno sospetti forse che io stia dando fuori di matto, nemmeno sospetti di essere ormai dentro di me come presenza fissa, pressante, maledettamente dolorosa, e i miei tentativi di dire la verità, li hai notati? Ho visto le tue certezze vacillare, nella notte per una volta ti ho detto qualcosa di vero, i tuoi occhi erano gli stessi di quella sera nella luce arancio dei lampioni, non ho avuto paura, ho cercato di mantenere una coerenza mentale e di tenere il mio Io protetto dalla sofferenza, ho cercato di farti arrivare un po' di verità in mezzo a silenzi e frasi confuse e inutili, chissà, chissà se hai capito.
Spero di sì, guardo gli sposi camminare lievi a bordo vasca, vedo gli altri invitati chiacchierare amabilmente, ridere. Mi vedo poco interessata alle vite degli altri, almeno in questo momento.
Da lontano qualcuno mi fa cenni. Sorride. Sembra chiamarmi. Sorrido. In effetti sembro perfettamente a mio agio.
Quando arriverà la prossima crisi?

Sunday, June 14

epiphanies



Molte primavere sono state così. Ma l’estate? L’estate non doveva essere così. L’estate non doveva nascondere questa debolezza assoluta. Non doveva portare la strana ebbrezza del nuovo? Da quant’è che non senti il nuovo entrare sotto la pelle, avvolgerti nella confusione, farti perdere la strada battuta verso nuove vie, luminose, deserte, mai percorse, pulite?

Io pensavo…io penso sempre troppo. Talmente tanto che poi per lunghi momenti, direi periodi, il cervello si spegne, per evitare un surriscaldamento, per evitare cortocircuiti. Una forma di sicurezza quanto mai necessaria. È tutto previsto, vedi? Molti giorni con la testa vuota, completamente. A chiedersi gli altri cosa fanno, cosa faranno, quante strade da percorrere attendono e per quanto attenderanno. Poi invece le cose riprendono la loro abituale forma, le sequenze di pensieri recuperano un ordine; allora tutto questo pensare torna assurdo, irrazionale; le strade da percorrere che ti attendono? E dove sarebbero? Esiste forse un limbo con le vie non prese, dove le scelte non fatte sopravvivono e formano una storia, il mondo delle alternative, esiste davvero? E quanti di questi mondi diversi dovrebbero esserci, se per ogni scelta possibile se ne generasse uno?
Devo tornare alla filosofia. Sento che intorno a me tutto è orribilmente superficiale. Tutto quello che leggo lo dimentico. Ricordo solo delle sensazioni potenti, che mi si stampano addosso, a volte anche le parole di qualcuno, a volte ricordo una situazione con precisione matematica. A volte ricordo anche l’esatta configurazione del mio pensiero quando affronto qualcosa. Ricordo come mi sono sentita, e riconosco l’arrivo di una crisi, o di un’illuminazione, l’arrivo di un’epiphany che mi si stamperà in testa e che presto tornerà in altre forme. Ma la mente comanda tutto. La mia mente è piena di maledetti mattoncini in posizioni insensate.

Sono come una stanza in cui è esplosa una valigia, e i vestiti stanno sparsi dappertutto, alcuni nella polvere, alcuni sul tavolo, in terra, tra le carte. Forse è esplosa anche la cartelletta dei documenti, i quaderni di scuola, le audiocassette del libro di inglese delle elementari, pagelle di scuola, ottimo distinto buono sufficiente, i disegni, dio i disegni li avevo scordati: ore di scuola passati a disegnare con la testa china sul foglio mentre la prof spiegava, il piacere di vedere le linee nuove uscire dalla matita, danzare sul foglio; in questa stanza confusa è esplosa la cartella di scuola, lo zaino che usavo all’università, fogli di appunti di filosofia, altri disegni, fogli bianchi e inchiostro blu, relativamente ordinato, kant con testo a fronte e appunti a matita a lato, la natura razionale esiste come fine in sé, la natura è teleologica, e poi ecco gli appunti di logica, gli appunti su Freud (la fase in cui l’Ideale dell’Io si stacca è dolorosa, perché quello continua a umiliare l’Io e a far notare la differenza con la perfezione ideale), quanta verità celata in questi fogli, quanta salvezza se ne sta in attesa di essere sfruttata, ma altra confusione nella stanza non mi permette di concentrarmi. I mondi possibili non esistono, esistono solo nella mia mente nel momento in cui decido di farli esistere, per potermi tormentare come accadeva fino a pochi anni fa. Allora le scelte non fatte mi perseguitavano. Le possibilità mancate continuavano a vivere nella mia testa, e con dovizia di dettagli; ma non è bene parlare di questo. La fase è stata quasi del tutto superata, forse anche grazie a quei lunghi momenti di letargo in cui il cervello periodicamente cade, per salvarsi dall’orrore della ripetizione, per non vedere l’eterno ritorno delle cose già viste. Tutte cose già fatte, come alzarsi la mattina mettere in terra i piedi respirare fare pipì lavare la faccia acqua fredda occhi impastati sensazione orribile di debolezza sensazione di già visto pensiero ridicolo che dice che questo giorno è nuovo, questo giorno è uno in più, questo giorno non è stato mai vissuto da nessuno, non ancora, eppure sappiamo bene come andrà a finire, se tutto va bene si intende, e poi un giorno (quanto lontano?) ci sarà un giorno nuovo che sarà l’ultimo (è tanto lontano! O forse no. Ma è inconoscibile, per ora, e questo è abbastanza) e chissà, ci saremo alzati con lo stesso strano pensiero, lavati la faccia e fatto pipì, ma nessuno può sapere queste cose, per cui è anche inutile parlarne, ed è egualmente inutile esserne spaventati.
Nel frattempo attendo con ansia messaggi. Segni di vita. Qualcuno che indichi una direzione.
Ecco, qualcuno si avvicina. È gentile. Io no. Lo allontano malamente; perché non sei tu. Non lo sopporto, non sopporto nessuno, mi danno fastidio gli sguardi che pure avevo desiderato. I gesti, gli occhi, la voce, non li conosco. Non sono i tuoi. Ad aspettarmi, fuori, nella sera, con l’eco della musica lontana, non ci sei tu.

E allora la felicità, quella che è tutt’uno con il nuovo, dov’è? Quella della notte d’estate, ancora bagnata di pioggia, tiepida, infinita, con i tuoi occhi vispi nel buio, guizzanti mentre mi prendi per mano e andiamo via; questa felicità dov’è? Credo di averla intravista in un bar mentre tornavo a casa stasera. Era là con altra gente, persone che si muovono come marionette, sorrisi smorfie schizofrenie braccia che fremono e drink sul tavolo; parlano ma sono burattini muti per me che sto dietro al finestrino dell’auto e per stasera sono salva. Non so se quel che ho visto e provato fosse vera felicità o soltanto sottile piacere di starsene tranquilla a guardare gli altri da fuori, senza pericolo, e non doversi esporre né render conto a nessuno: felicità a buon mercato. Probabilmente era nostalgia per una serata persa, identica a una delle tante sere perse nella mia adolescenza, una serata in cui avrei potuto conoscere il nuovo, che cerco disperatamente, mentre invece sono rimasta a guardarlo passare.

Il mare dietro di voi è grigio, è verde, c’è il sole ma l’acqua sembra sporca, la felicità non vi manca, la felicità non vi manca, il sole bacia i belli dicono, dicono così tante cose, che sera assurda, da un palco lontano sempre la stessa musica e le parole di un’improvvisato speaker distorte dalla distanza, si perdono nella notte, la canzone è allegra (everybody need somebody), tutto questo fa un po’ ridere non è così? Sembrate felici. Ma io cerco sempre le crepe nella realtà, cerco il punto da cui il disastro inizierà, lento, vittorioso, una vita intera raccolta e riassunta in una bolla di sapone color arcobaleno, la tua e la mia e la nostra esistenza sta lì dentro mentre noi la pensiamo infinita e ci preoccupiamo del domani, la bolla dura un attimo e si libra nell’aria leggera rincorsa dai bambini, è una festa di compleanno, dev’essere il ’95, a bologna, una villa sui colli, verde e alberi e portici color ocra e rosso e grandi gazebo con sotto tavoli con sopra dolcetti e poi giochi gonfiabili che i padroni di casa avevano affittato e forse una piscina fuori terra, enorme, il cielo alto, infinito, la vita non è una bolla ma una cosa indefinita ed enorme, senza determinazione oltre l’oggi, senza significato oltre l’istante, oltre l’attesa della torta, del gioco, della mamma che assieme alle altre mamme attende poco lontano, e non ci lascerà mai.

Serata tranquilla, profumo di fiori, come quelli dell’estate della maturità, era luglio e io studiavo e non capivo e solo adesso capisco ed evidentemente è tardi, ma è così per tutti, è così sempre, non ne va mai bene una e dev’essere proprio una certa forma mentis a creare questi disguidi, la notte prima degli esami di maturità non successe nulla di particolare ma ricordo che asfaltavano la strada, tempismo perfetto complimenti, bip bip bip vrrrrrrrr stop bip bip bip eccetera eccetera e altri rumori simili e un caldo esagerato e una puzza di asfalto e gas di scarico, ma sono sopravvissuta, ricordo anche il corridoio lunghissimo e bianco e una leggera corrente d’aria calda tra le teste chine dei miei compagni in lunga fila davanti a me e la non voglia assoluta di stare seduta così tante ore e poi minuti interi a guardare il soffitto le finestre chiuse i professori che camminano lenti lungo i banchi e l’eco dei loro passi cik cik scalpiccio rimbomba nel corridoio sembrano agitati anche loro si sono vestiti bene ci sono i commissari esterni e loro devono essere pronti scattanti preparati puliti e profumati e far vedere che i loro ragazzi non sono delle capre e qualcosa hanno fatto anche se il programma di matematica non era finito ma la prof ha scritto tutto anche le cose che non avevamo fatto e che per fortuna non ci hanno chiesto, ricordo di aver pensato che non li avrei visti più, ricordo che è stata una sensazione strana, un sollievo non del tutto gioioso. 
Ma rieccoci di nuovo qua, anni dopo (pensa un po’ come passano veloce), la sera procede, procederà oltre, ingranaggi ridicoli, pedine ridicole, stiamo giocando e tu non ci sei, ti cerco e tu non ci sei, dovrei impegnarmi di più, dovrei inseguire i sogni con più entusiasmo mentre guarda, basta una giornata no a buttarmi a terra, dopo tutta la fatica per arrivare qui, proprio tu, proprio io, la stanza fluttua nel nulla, quando ho strappato dai muri fotografie e poster del passato mi son sentita meglio, il muro sotto era più bianco e foto e fogli e poster hanno lasciato un’ombra, stencil grigiastri, quadri vuoti, si è anche staccato un po’ di intonaco e il muro sotto era blu scuro, qualcun altro evidentemente stava nella mia stanza prima di me e il bianco non gli piaceva, chissà che tavolo aveva, chissà che cosa faceva, chissà se guardava dalla finestra come me e chissà se gli sarà mai esplosa una valigia nella stanza sparpagliando vestiti ricordi sensazioni racconti in ogni angolo. Ma su questo nessuno saprà mai la verità, e poi forse questo genere di cose succedono solo a me.

Saturday, June 6

basta



Basta con le assurdità. Le cose invecchiano troppo presto. Anche noi siamo francamente ridicoli.

Ero stata ad aspettarti e sei fuggita. Che modi strambi.

Ce la farò, a non uccidere qualcuno nei prossimi giorni e tempi? Ce la farò, a confessare la verità e gettare tutti nello scompiglio? Eppure è quasi bello guardarvi dormire, quasi mi dispiace turbare il vostro sonno; ma la mia esistenza esige ordine, le cose irrisolte che stanno da qualche parte hanno bisogno di essere spostate, stanno nel mezzo, sono fuoriposto come un divano incastrato in una scala, come quello di tanti anni fa che ci era sfuggito di mano. Un piccolo problema di presa, succede, avevamo tredici anni e il divano infranse la porta a vetri in fondo alle scale, ma l'albergo era abbandonato e il divano rimase lì. Allo stesso modo rimangono nel mezzo quegli eventi passati e ormai inutili a cui non pensavo da tempo e che all'improvviso saltan fuori dal buio. 

Colpa tua. No, colpa mia. Colpa di tutti e due o di non si sa chi. In ogni caso quelle cose stanno ora nel mezzo e io devo levarle. Potreste anche toglierle voi; potresti toglierti anche tu di mezzo e smetterla di ballettarmi davanti, anzi potresti dirmi la verità, potresti, ti prego di dirmi qualcosa, a voce o per lettera; ma forse, penserai tu, avrei potuto farlo io e invece non ho fatto niente.

Ma insomma si sa.

Le cose sfuggono di mano, il tempo passa, e io sono notoriamente incapace di dare svolte alla mia vita al momento giusto.

Ma tu? Tu sei davvero certo di quel che stai facendo? Qualcuno mi fermi perché sto per esplodere.

Un merlo zampetta nel prato davanti a me. Come fa a sapere che là sotto c'è un verme? Come diavolo fa a non sbagliare? Perché non sono stata programmata così bene come un merlo, in modo da sapere sempre esattamente cosa fare? Eccolo che becca il prato con inaudita violenza. La cena è servita. Ammazza senza particolare fretta un maggiolino. Lui alza le zampe in aria come per arrendersi, il cielo è blu, rondini gridano come pazze, temperatura 16 gradi, ultimi istanti di una piccola vita nella calma sera di maggio.

Sbrighiamoci a tirar fuori la verità, perché io sto degenerando.

Crack. Il maggiolino trafitto è portato via in volo, nella sera tiepida. Terminerà la sua agonia altrove. Altri rumori? Cip cip. Uccellini che cenano attraversando nuvolette di insetti. Ognuno ha il suo compito, ognuno la sua funzione, ognuno la sua meravigliosa e splendente casella in cui rientrare ed essere così cittadino del mondo a tutti gli effetti. Una sera di maggio fatta di categorie.

Anche le lumache staranno strisciando fuori da sotto i sassi, e nell'umidità della notte andranno verso l'insalatina tenera, ma tu KK non ce l'hai fatta a farla fuori quella sera in cui hai incrociato il suo piccolo sguardo fatto di antennine mobili. Lei ti guardava come stupita, in attesa, allora hai sentito l'essenza del tuo potere verso di lei e poi l'hai visto propagarsi al resto del mondo di cui secondo la legge del più forte puoi disporre, formiche, lucertole, animaletti vari che potrebbero cadere nelle tue mani ed essere facilmente e senza apparente colpa eliminati; ed eccola l'essenza del potere e della violenza, quella che sta dietro alla cattiveria dei bambini, ma mentre pensavi tutto questo la lumachina ti osservava attenta, interessata, infinitamente ingenua e innocente, stava protesa fuori dal guscio e da te si aspettava qualcosa, e tu eri così debole quella sera, così sconvolta da tutto, ci mancava solo un esserino morbido e viscido e senza colpa. L'hai afferrata delicatamente e lanciata nella siepe della vicina, sperando così di lasciare aperto il suo destino, evitando così di fare scelte scomode, che già ce ne sono tante, e la sera è così stanca, maggio è così pieno di possibilità, i km di oggi non sono stati abbastanza per spegnermi il cervello, ho ancora energie, nella notte ti vorrei cercare, nella notte vorrei farti mio, nella notte vorrei che le cose fossero semplici, non vorrei davvero far male a nessuno ma la verità non può restare senza conseguenze, vorrei delle risposte ma non ho il coraggio di domandare, ed è tutto assurdo, senza quelle risposte in effetti nulla mi interessa, se mi distruggo di fatica è solo perché l'assenza di risposte sia più gestibile e meno dolorosa, se cerco di stancarmi e di esaurire le forze è solo per non pensare a come sarebbe se, perché quando lo penso è finita, la felicità possibile è troppo luminosa e accecante, tutto il resto è a confronto inutile attesa annoiata, vita senza particolare senso. In questi casi sarebbe utile essere invisibile. O essere un animaletto che vaga nella sera, programmato per fare il suo dovere e nient'altro, in attesa che qualcuno più forte e più potente dia una svolta alla sua piccola esistenza. Una svolta qualunque.

Thursday, May 28

cevedale







Molti muri sono crollati. Divieti, tabù, assurde regole sono infrante.
Appaiono, semplicemente, prive di significato. Totalmente arbitrarie.
In un giorno di aprile l’inverno è ritornato, e io ho provato una paura purissima, fredda e precisa come una lama; è l’immagine della mia debolezza di fronte al ghiaccio, che per una volta con me si diverte a giocare, che una volta di più riafferma il suo ruolo, il suo dominio, mi piega come una canna al vento.
Uno scenario mentale che ricordo come una distesa candida e pulita da tutto, da ogni preoccupazione e pensiero superfluo, per concentrarsi unicamente sul mio piccolo corpo che lentamente perde energia, sensibilità, calore, perde controllo; concentrarsi per recuperare le forze e aver salva la vita.
Sperimento un panico nuovo, che genera improvvisa concentrazione e che finalmente annulla tutto ciò che intorno e dentro di me si agita, immagini, ricordi, cause e conseguenze, legami, domande; seguire il filo di troppi pensieri è dispendioso ed inutile, ed è il corpo a decidere per me, è ancora una volta la natura che è in me a decidere di spegnere il cervello e dirottare l’energia verso qualcosa di utile, qualcosa che mi permetta, semplicemente, di conservarmi.
Dopo tutto questo, dopo la visione della mia mente libera da tutto, la vita torna quella di prima; ma pezzi di me sono cambiati per sempre.

Quando sto per scollinare verso la valle e capisco che è finita mi ritrovo con le lacrime agli occhi. Un pianto silenzioso, incontrollato e liberatorio, di gioia per la mia salvezza e di orrore per quelli che non ce l’hanno fatta. Attraverso gli occhi umidi non vedo bene dove metto i piedi, ma sembra tutto in ordine qui, il manto nevoso è uniforme, mi affido a pensieri del tutto casuali per non ricordarmi delle mille crepe che di colpo potrebbero inghiottirmi. Mi sento del tutto superflua e questo pensiero è di una chiarezza disarmante. Eppure ogni paura è svanita. Sento le mani pulsare di dolore mentre il sangue caldo ritorna a scorrervi, continuo a muoverle sotto due strati di guanti, si riprenderanno, anche il naso si riprenderà, tra poco sarà finita e tutto tornerà come prima; ma poi scorgo, lungo la cresta che guarda verso il Trentino, dei pezzi di legno sbucare dalla neve, dei resti rigidi come braccia puntate verso il cielo, in un’accusa senza parole; e chissà quante dita congelate, chissà quanto dolore e sofferenza, quanti giorni come questo solo cent’anni fa, e dopo questo pensiero io e le mie mani non siamo più nulla, io e il mio freddo non contiamo niente, fantasmi silenziosi sembrano osservarci mentre raggiungiamo la cresta, e dall’altra parte finalmente la valle, finalmente il sole, una via di fuga, niente più ghiaccio verde ma neve cotta dal sole, rocce laggiù in fondo, forme di vita che paiono amiche, la traccia che ci porterà a casa. Capisco che essere salvi non è nulla di scontato, e lo apprendo come fosse una verità logica, qualcuno sorride guardandoci passare, ci sono dei soldati sulla cresta e ci guardano incamminarci verso la salvezza, un sorriso triste, il sorriso amaro di chi sa, osservano la felicità del ritorno a loro preclusa per sempre mentre la valle ancora attende, e molte croci staranno ordinate sui prati, passeranno inverni, primavere, arriverà l’estate e con lei i temporali, niente ha più senso, la baracca rimane lì e i soldati pure, guardano giù, non hanno volto, e mentre mi lascio scivolare a valle ho quasi paura a fare le curve, ho quasi paura che tutto questo non sia giusto, mi appare chiaro che salvarsi è un privilegio e che non bisogna sprecarlo. Vorrei dire qualcosa ma resto in silenzio, la discesa verso la salvezza non può essere in nessun modo sguaiata, non può essere più di quel che è, vorrei essere felice ma non lo sono appieno, sento mille occhi osservarmi dalla baracca là in alto mentre lenta me ne allontano, e allora farfuglio ringraziamenti, al vento faccio promesse silenziose, a chi non ce l’ha fatta prometto di non dimenticare, prometto di raccontare, prometto di ricordare sempre delle volte in cui mi sono salvata, per avere la forza di salvarmi di nuovo. Ora l’aria è più calda, e il dolore alle mani diventa un sottofondo indistinto. L’aria è più respirabile. Compare l’immensa morena e una traccia che ne taglia la superficie costeggiando un’enorme caverna di ghiaccio. Mi lascio portare. Ringrazio tutto e tutti in ordine sparso, dagli sci ai guanti alla lana agli scarponi. Fisso un punto lontano e osservo la valle avvicinarsi, finalmente senza neve, con qualche larice spoglio, lontano, mentre la morena si esaurisce, la neve è marcia, incontriamo altri sciatori che sembrano ignari di tutto. A destra compare e scompare un rifugio. La fine della valle si avvicina sempre più. Arriva al termine. Respiro, mi volto a guardare indietro una sola e unica volta. Ma non è più tempo di guardare le cime e contarle, non oggi. Oggi sono state benevole. Abbasso lo sguardo. Ci metto una vita a togliermi lo zaino. Rimango nel parcheggio come un ebete, sento il sole che scotta sulla giacca, ma non tolgo nulla. Ogni oggetto e ogni cosa mi sembra nuova come se la vedessi per la prima volta. Dovrei mangiare e bere qualcosa, ma mi sembrano concetti nuovi. Bere una birra. Parole nuove, sensazioni nuove con cui essere cauti. Lontano, la montagna è bianchissima e accecante. Forse sorride.
I soldati vegliano sulle creste, presso la croce, il confine.
Dentro di me, altri confini si sono spostati per sempre.



Wednesday, May 20

ricerca



Che cosa mi manca?
Non ne ho idea ed entro nel supermarket. Sembra che sia pieno di persone come me. Sono stanche. A tratti sciupate. Chissà che faccia avrò io. Sotto le luci al neon nessuno pare interessarsene.
Stasera è accaduto in me qualche cosa. Sensazione di attesa e poi invece niente. Ferma al semaforo ho sbirciato nel bar oltre la strada. Nella luce tenue erano seduti in due. Sembravano felici. Sembravano un milione di cose e me ne ricordavano altrettante. Poi è venuto verde. Dietro il bancone era pieno di bottiglie scintillanti e bicchieri. Le persone erano solo sagome. Forse lui gli somigliava?
Forse io stavo cercando qualcuno?
Non lo so, non so neanche questo. La notte è scesa da poco e molte cose sono incerte.
Già sento gli occhi farsi pesanti e tristi, e assenti. Ma è arrivato il verde e sono partita.
Il bar era lo stesso di quest’estate, non è così? Quel giorno avevo guidato a fatica la bici fino a casa.
Non è più tempo per pensarci.

Ho bisogno di disciplina. Sono in balia delle cose. Era per dare una parvenza di ordine alla mia serata che sono entrata al supermarket. Eccole. Le Cose mi vengono incontro, ordinate e rassicuranti. Sono piene di possibilità. Le persone sono assenti. Fantasmi in cerca di oggetti. Cammino e a ogni passo mi sembra di fluttuare nell’aria. Atmosfera rarefatta. Freddo intorno all’immensa parete dei banchi frigo. Tristezza irrimediabile, mancanza di soluzioni che mi sovrasta e mi schiaccia. Incrocio sguardi. Mi sembrano smarriti.
Non è così evidentemente.
È così solo stasera, che i miei occhi sono tristi e pesanti e assenti. Vorrei comunicare qualcosa di positivo. Vorrei che qualcuno mi sfiorasse inavvertitamente col carrello e mi dicesse scusa, e allora io potrei sorridere e dire niente, si figuri. Invece non accade nulla. Un bambino che sembra straniero corre dal papà con in mano un giocattolo. Lui lo esamina attentamente, il bambino insiste. Il bambino piagnucola e il papà dice cosa è quello? Lo sai cosa è? Non è nulla. Il suono che fa la verità è dirompente.
Il bambino piange.
Quante volte nell’infanzia sembrava che il mondo stesse per finire. E invece guarda. Il mondo stava solo giocando il suo ruolo. E noi ancora pensavamo di poter fuggire. Lentamente ci siamo piegati. I bambini diventano adulti e camminano dritti nelle corsie, spingendo il carrello. Gli adulti sono già stanchi.
Sono entrata cercando qualcosa. Non l’ho trovata. Ma tornerò a casa e poi ritornerò qui, quando sentirò di averla persa di nuovo.
In fila alle casse mi prende una calma irreale. Le persone intorno rinunciano ad essere impazienti. Misurano i gesti per non fare troppa fatica. Una tipa davanti a me prende il coso per dividere la spesa e lo mette sul nastro tra la mia e la sua. Le dico grazie e sorrido. Mi sento meglio. Davanti a tutti c’è un signore tranquillissimo, sorridente e vestito con un pile scolorito e sporco di polvere e fieno. Ha degli stivali verdi di gomma, pantaloni blu non identificabili. Sembra vagamente un barbone, è magro, tranquillo e gentile. Sposta gli articoli che ha comprato dalla cassa a un banco poco più in là, li mette tutti in fila ordinatamente. Fa almeno tre viaggi, zoppicando e sorridendo, misurando ogni gesto. Non prende sacchetti perché metterà tutto in uno zaino vuoto che ha appoggiato in fondo al banco. Mentre va dalla cassa al bancone, dal parcheggio esterno un cagnolino segue ogni sua mossa fissandolo da dietro ai vetri.
Dopo un tempo infinito arriva il mio turno. Pago, riempio la mia borsa ed esco. Mi sento un po’ meglio ma durerà poco. Sono molto instabile. Cammino per il parcheggio e guardo all’interno quelli che ancora sono in fila alle casse. Sento il pianto di un cane, e mi accorgo che è quello di prima. Il signore con lo zaino è ancora all’interno; l’ha riempito con la spesa e sta ora cercando di caricarselo in spalla. Fa fatica. Da dietro i vetri, con la luce che illumina fin dove può il parcheggio buio, sembra di guardare uno spettacolo dentro un enorme televisore. Un film muto che io e il cane osserviamo senza esser visti. Lui è accucciato a terra e guaisce disperato, col muso dritto verso il padrone che si muove lento nel silenzio assoluto. Vorrebbe far qualcosa per lui. Nei suoi occhi umidi intuisco la presenza di un sentimento puro che nessuno di noi proverà mai.
Questa evidenza mi abbatte ancora di più.
Me ne vado senza capir nulla.
Entro in macchina e decido che stasera sarà un’altra sera persa.
Le persone mi appaiono come sono, tremendamente tristi. Forse, più semplicemente, mi appaiono come sono io in questo momento.
Sono pulite e profumate e hanno abiti decenti, ma nessun cagnolino piange nel parcheggio per loro.
Entro in macchina e accendo la radio, guardo le macchine sfrecciare sulla superstrada, le luci sulla montagna, le tracce invisibili del tramonto a ovest del cielo.

prigioni




Certi giorni mi sento bene. Rispetto a me, agli altri, e alle cose in generale. Mi guardo intorno e non ho nulla da chiedere. Certi giorni ho la sensazione potente e incancellabile di essere libera. Che le mie azioni verso di te, e verso di me, e le cose che voglio e vorrei, siano chiare come non mai.
Ma ognuno costruisce intorno a sè delle prigioni. E con la prigione intorno ce ne andiamo in giro, pensando che i nostri atti siano pienamente nostri, e che i nostri pensieri e la nostra mente siano liberi.
Forse è meglio non chiamare, chissà cosa penserà.
Forse è meglio non dir niente, altrimenti chissà.
Ognuno è circondato dalla gabbia della propria visione del mondo e dei rapporti con gli altri, e da quella delle categorie con cui ogni giorno ordinare un'esperienza che è sfuggente, mutevole, a tratti dolorosa.
Ognuno ha, per le proprie prigioni, un attaccamento ancestrale e profondo, inconscio, naturale solo in quanto autoconservativo; irrazionale quanto a esiti concreti.
Non le vedi, le sbarre invisibili? È accaduto tante di quelle volte, ricordi? Un tempo la prigione era molto più ampia intorno a te, le persone ti sfioravano appena, tu ti facevi avvicinare a fatica. Anche oggi accade: sorridi nella notte senza saper cosa dire. Abbassi gli occhi per non saper cosa fare. Ti appoggi alle sbarre e aspetti, mentre la folla intorno a te si muove, ognuna con la sua personale prigione.
Molte volte hai allungato le braccia e molte volte hai sfiorato mani protese verso di te, e hai pensato che la gabbia non ci fosse più. Ma lei c’è sempre, intorno a te, dentro di te, forse è una cosa sola col tuo essere, con la tua esistenza nel mondo. Immagino che ci sia molto da filtrare, nella faticosa esperienza dei rapporti con gli altri, e molto da cui difendersi. È necessario trovare un modo per non essere del tutto permeabili a quel che ci accade intorno, e alla potenziale sofferenza che sta dietro ogni contatto. La gabbia reclama uno statuto di utilità pubblica.
Così, accade che ci sono tante cose che ci precludiamo da soli, senza nemmeno bisogno che a farlo sia il caso.

D’altronde le sbarre sono un’interessante e comoda prospettiva, da cui guardare la propria e l’altrui vita, in attesa di qualcosa. 
Invece a volte salti fuori all’improvviso, dalla gabbia invisibile, o almeno così ti pare (in realtà lei se ne sta adagiata intorno a te come fosse un vestito comodo) e allora quella nuova libertà sembra addirittura irreale. Pensi che durerà per sempre perché dalle conquiste e dalle scoperte non si torna indietro uguali.
Ma qualche tempo dopo, in una sera autunnale fin troppo tranquilla, ti ritrovi di nuovo appoggiata alle sbarre, a guardare verso un fuori del tutto indefinito di cui non sai nulla tranne che non è il dentro dove ti trovi adesso. 
Fa buio presto e questa è una cosa che non ti piace. 
I giorni passano velocissimi e sono anche belli e intensi, ma a volte nemmeno questo ti piace. 
Vorresti saltar fuori di nuovo, ma forse non è il momento.

Tuesday, April 21

agio



Di solito tendo a far sentire le persone a proprio agio. Anche quando i miei sentimenti sono contrastanti. Cerco di non suscitare timore. Ma forse sbaglio. Forse dovrei fregarmene. Forse non ne vale la pena.

Questi erano i pensieri di KK, mentre un poco brilla accompagnava in bagno uno dei tanti soggetti verso cui nutriva sentimenti contrastanti. Non le era simpatica, ma nemmeno riusciva a odiarla. Forse vedeva in lei qualcosa di sè, forse qualcosa del passato; o forse, più semplicemente, non aveva voglia di combattere su nessun fronte.
Può darsi che di combattere non ne valga la pena, proprio come non vale la pena odiare. Quel che resta, quel che faticosamente accade, è KK che apparentemente tranquilla accompagna, rassicura, parla, con qualcuno di cui non dovrebbe importarle nulla, che forse preferirebbe non vedere, e con cui davvero preferirebbe non parlare.
Ma che fare? KK è così. Vagheggia vendette ma non ne attua nessuna. Legge negli altri paura e insicurezza e non può nemmeno pensare di approfittarne.
KK cerca sempre, anche inconsciamente, di allontanare dalle persone il disagio e la paura.
Se ne sta ora fuori dalla porta, intorno la festa sotto i tendoni procede tra odori di costine e altro, la notte è fresca e KK in un attimo di lucidità si chiede come diavolo possa convivere in lei una tale dissociazione. Immagina che ci sia qualcuno, che vive nella sua testa ma sta sempre in silenzio, che un giorno urlerà a squarciagola quel che non vuole più vedere. Ma prima che quel giorno arrivi, KK avrà aspettato tanto tempo fuori da una porta come sta facendo adesso, un poco brilla, un poco euforica e vagamente triste per il destino maledetto degli affari del mondo e delle persone, tentando in tutti i modi di eliminare il disagio. Chiedendosi perché mai non è nata un po’ più cattiva, furba, magari un po’ falsa, per evitare di trovarsi, come ora, in estenuanti dispute morali interiori. In modo da evitare quei conflitti sulle massime dell’agire che popolano e complicano la sua vita sociale, tanto più che la maggior parte delle persone nemmeno sa dargli un nome, a questi conflitti.
Nonostante ciò, e nonostante le situazioni in cui si caccia le appaiano assai ridicole, KK persiste. È un animale scatenato lanciato sulla via della razionalità, illuminato e fiducioso nella possibilità che la ragione possa mettere a posto ogni cosa. Ovviamente si sbaglia, e c’è un muro invisibile ma impenetrabile che l’attende in fondo alla strada.


Non essere infantile, KK. Son cose che succedono. In fondo ti sei solo invaghita del suo amico. Insomma è roba già sentita. Innamorata mi sembra esagerato. O mi sbaglio? Eppure ti vedo piuttosto sconvolta. Indecisa come sempre. L’indecisione ti ucciderà poco a poco, cara KK. Devi imparare a superarla. Farò una digressione, ma lascia che ti spieghi. Quel che ti appare ogni giorno davanti agli occhi è una cosa enorme che occupa prepotentemente tutta la visuale: la tua vita. Il tuo SGUARDO. Ma per quanto quel che hai davanti agli occhi, quel che appare e scompare nel tuo campo visivo, sembri gigantesco, soverchiante, in una parola, totalizzante, non devi farti prendere dal panico. E nemmeno da forme di egoismo autodistruttivo. Tutte le persone intorno a te hanno lo stesso problema. Hanno un solo campo visivo, che si apre al mattino e alla sera si richiude per poche ore, e anch’esso è del tutto simile al tuo. Sai perché? Perché è PIENO. Il tuo sguardo è PIENO della tua vita fino a scoppiare. Ogni sguardo è così. Il tuo, il loro, il NOSTRO sguardo è tutt’uno col nostro occhio e con la nostra vita, che così diviene improvvisamente importante, centrale, come se apparisse nella TV durante un pigro zapping serale. Mentre è ovvio che la nostra esistenza non è altro che una delle tante, e lo stesso i nostri sguardi, e ciò che davvero ESISTE è l’incontro casuale, continuo di tanti sguardi, del tutto inconsapevoli gli uni degli altri, e inconsapevoli di se stessi, ognuno portatore di mille visioni diverse di mondo, anzi: ognuno col proprio personale mondo costruito dal proprio personale sguardo. Questo è chiaramente un problema. Questo è il motivo per cui l’uomo non è un animale naturalmente sociale. Lo è, certo, ma con notevoli incidenti. Bisogna distinguere il piano normativo da quello descrittivo, cara la mia filosofa KK. Questo è anche il motivo per cui noi non siamo mai del tutto liberi dalla nostra infanzia. Di essa conserviamo lo stesso sguardo sul mondo che ci porterà alle piccole grandi catastrofi della nostra vita adulta. Lo stesso sguardo che vede quel che appare davanti agli occhi come totalizzante, ovvero come l’unica realtà che davvero possa e debba interessarci, trasforma uno scorrere di eventi, persone e atti senza scopo preciso in cose che ci riguardano, in STORIA, cioè PROGETTI, ACCUSE, ATTACCHI, PAURE. 
Niente di più lontano dal vero. 
La verità di quello scorrere è inconoscibile. 
Ma non per questo quel che appare nel nostro personale spazio visivo deve per forza riguardarci e vederci protagonisti. Non per forza quel Tutto così bello e pieno che il nostro sguardo coglie è davvero la verità di quel che c’è da vedere. Lo sguardo è per sua natura parziale, KK. Lo sguardo da nessun luogo è un’idea meravigliosa e poco praticabile. Lo si può ampliare, come fa l’antropologo. Ma è così difficile, liberarsi dall’ombra totalizzante che si allunga su tutto quel che ci accade. E così avviene con te ora, KK. Che sarà mai? Tutto questo trambusto per che cosa? Un amore passeggero, un altro. Fatti, eventi, parole e persone che diventano gigantesche sotto la lente del tuo sguardo parziale, di fronte ai tuoi occhi desiderosi di trovare un senso, di fuggire a tutti i costi l’assurdo, di costruire una storia che tu possa raccontarti senza dubbi né paure. Ma forse mi sbaglio. Forse la mia è cinica razionalità. Anche tu sei fredda e razionale, ma certe volte non basta. Ti sei innamorata di lui, non è vero? Lo sei ancora? Stai lentamente dimenticando, KK, lo so, stai cercando in tutti i modi di rendere il tuo sguardo più ampio, aperto, meno drammatico e totale. Costruisci nuove storie che rinegoziano sempre di nuovo i significati delle cose passate. Ma qualcosa è accaduto. Niente di grave. Ma qualcosa dentro di te è cambiato per sempre.



Saturday, January 3

ventitré



Povera piccola. Lui ti ha deluso, non è così? 
Ultimamente dormo in un sacco a pelo per abituarmi all'assenza e ai futuri spostamenti. Dovresti farlo anche tu.
Ora ne parli disinvolta e divertita, ma come potevi sapere di lei? Non guardare me: nemmeno io ne sapevo nulla. Un piccolo pezzo di mondo, il tuo, è scosso d'improvviso e dalle fondamenta, e non ci sei abituata. Vorrei poterti aiutare...vorrei volerti aiutare...ma non è così. La mia naturale disposizione a mettere le persone a proprio agio si sta ingolfando. Quando è troppo è troppo. Non ho più intenzione di ascoltare le vostre storie piagnucolose, e far finta che mi interessino, e cercare per voi soluzioni. Il mio tempo è prezioso. Un egoismo ancestrale avanza a passo trionfante spazzando via le questue inutili di chi non merita le mie attenzioni. Bisogna saper scegliere. La terra non perdona nessuno, e per quanto si auspichi che essa sia lieve, la verità è che non lo è mai veramente. La terra è scura, umida e soffocante. La vita è breve e io fatico a fermare gli attimi di questa corsa maledetta. Per cui mi dispiace, lui ti ha tradita, ma che vuoi farci? Io non ho soluzioni per te. Molti giorni di liceo polverosi, lenti, grigi, sono stati usati per cercare soluzioni a problemi come il tuo, ma allora sembrava tutto così enorme; in attimi di pausa pranzo con la scuola deserta ogni nostro sguardo e ogni sentimento era dotato di forza soverchiante, tragica e senza redenzione come solo un giorno dell'adolescenza sa essere.
E ora tu vorresti stabilire un contatto, venirmi accanto e metterti alla pari, vorresti una qualche fratellanza senza sapere quel che io so, quel che io e lui sappiamo e che tu e il resto del mondo ignorate, davvero vorresti questo?
Mi dispiace davvero, ma è finito il tempo per avere una qualche pietà di voi. Io aiuto chi si offre a me con animo puro. Senza paura e senza certezze. La notte è nera e molti sono in cerca. Ho avuto i miei momenti di buio totale e con le mie gambe ne sono uscita. Non ricordo vi fossero braccia tese da afferrare per uscire più in fretta. Ricordo una disperazione silenziosa, strisciante, senza parole e senza redenzione, una tristezza senza senso nè direzione. Sento ancora l'eco di risate lontane e ovattate, le vostre. Ricordo la sensazione, vivida e bruciante, di aver subito un tradimento ben più grave di tutti quelli che si sarebbero verificati dopo, l'archetipo, la matrice di ogni tradimento, anzi di ogni inganno. La psicanalisi ha detto: il mondo è quella cosa che a un certo punto mi delude.
Avvenne proprio così, come avviene alla fine di ogni infanzia. La vita che avrei voluto non era disponibile: e quella che avevo addosso, in cui mi muovevo goffa e ridicola, era l'unica vita possibile. Gli sguardi di disprezzo, le risate di scherno, odiose, assumevano i tipici tratti del destino immutabile.
Ma anche questo era falso. Passato il liceo ogni cosa ha ripreso le sue dimensioni normali. Non era falso in quel preciso momento: si è rivelato tale, nel tempo. La verità è sempre un disvelarsi: aletheia

La verità è un processo mai concluso. Oggi che so queste cose, solo oggi, la mia inquietudine ha un nome e ha una voce: eros, che ogni cosa manda avanti in movimento incessante.
Per cui, come vedi, qua non c'è nulla di definitivo. Si scoprono molte cose pur senza chiederle. Ma non pensare che voglia tranquillizzarti. Il mio lavoro di paladina degli afflitti è terminato stasera. L'ho deciso dopo un lungo tergiversare. Io e lui ci guardavamo negli occhi e la notte era perfetta e sembrava infinita. Sappi che io non ho pensato a te nemmeno per un secondo. Lui, non so. Neanche questo mi interessa. Sappi che ogni mia mossa d'ora in avanti sarà già vittoria. Attesa paziente senza un reale interesse. Guarderò ogni cosa da fuori senza che il mio pensiero se ne occupi. Oggi è il ventitré e un anno fa vagavo per le strade in attesa di una risposta.
In un anno ho imparato a dare nomi nuovi alla realtà che lenta si disvela. Ho imparato a convivere con sentimenti ambivalenti. Ogni anno è una scoperta. Ho raggiunto la cima del muro e la scala a questo punto non mi serve più, come Wittgenstein. Ma forse quello valeva solo a livello teorico. Un anno fa uscivo nella notte cercando disperatamente un segno. Non ero tanto diversa da un pazzo qualunque, che urla le sue pene ai prati e al cielo.
Pioveva, e lo ricordo come fosse ieri.
Poi è successo davvero di tutto.