Saturday, January 25

ciao, sono la neve



Mi piace tanto anche coprire la vista alle webcam.




Ciao, sono la neve.
Mi piace starmene qui a coprire ogni cosa, e mi piace starmene qui sotto il sole. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, il sole mi farà sparire.
Ma adesso no.
Ti piaccio, non è vero?
Un tempo io e te non ci conoscevamo.
Un tempo te ne stavi nella culla e io esistevo già. Esistevo già da sempre mentre tu nascevi, e anche mentre papà e mamma nascevano, e così per molte generazioni. Te ne stavi al sicuro, allora.
Poi qualcuno ha deciso di doverci presentare. Chi è stato? È stato il papà non è vero? Te lo leggo negli occhi.
Ricordi tutto. Le mattine d'inverno, la luce azzurrina dell'alba, il freddo secco, la ricognizione della gara, freddo, freddo, il numero, riuscirò a passare da questa lunga? Tutto questo e molto altro nella tua testolina, e il papà sempre dietro, a vedere se volevi la giacca, se volevi il cioccolato, se avevi freddo alle mani, se dovevi fare pipì. Ricordi quella volta che ti chiamavano, chiamavano il tuo numero e tu hai detto che non volevi scendere e allora il cronometrista è uscito dal gabbiotto di partenza e ha detto: dai che all'arrivo ci sono le torte, ma tu niente, e il papà sembrava proprio arrabbiato ma non lo dava a vedere, e la pista era perfetta nell'ombra azzurra, le porte erano rosse e blu e stavano ordinate, immobili, un giorno come tanti per me, ero dappertutto ed ero bianchissima, ma tu non ne volevi sapere di scendere, tu eri ancora una bambina e davvero non mi conoscevi ancora. Più tardi, neanche troppo, ti saresti definitivamente innamorata. Doveva passare del tempo, altre gare, altri giorni iniziati col buio e la brina sui vetri della macchina.
Passarono tanti inverni e tutte le volte osservavi il cielo aspettando. Passarono inverni in cui tutto sembrava crollare, e tu ancora non capivi dove fosse il problema. Mi cercavi, eppure non eri soddisfatta. Allora cominciasti a spingere lo sguardo oltre il già visto, studiavi boschi, canali, rocce, volevi scendere, e non volevi regole; ma volevi anche la fatica, volevi ancora conquistare, ma cosa? pensavi forse di conquistare me? come se a me importasse qualcosa.
Ancora non capivi.
Ma un giorno ti accorgesti che ovunque io fossi, ero semplicemente sinonimo di felicità.
Bastava quello e nient'altro, a dar senso ai giorni.
Da allora niente è stato più come prima.
Sei stata ingenua. Ma siete tutti ingenui, in effetti.
La mia tranquillità è eterna e il mio sguardo indifferente. Siamo tutti indifferenti, qui. Io e i monti su cui me ne sto adagiata. I larici e i giochi di luce e ombra sui pendii candidi.
Oggi, dopo tutti quegli inverni a cercare di capire, passi in mezzo a noi e sei così incredibilmente felice di essere qui. Passi in silenzio, farfugliando ringraziamenti a non si sa chi; ma noi davvero non possiamo garantirti nulla. Non è colpa nostra. Qualche settimana fa, hai misurato il peso di ogni passo sulla traccia e noi sentivamo la tua voce. Pregavi non è vero? Pregavi che io me ne stessi ferma, osservavi la cornice alla tua destra, la costa ripida, immaginavi dove avrei potuto venir giù, immaginavi vie di fuga, e non ce n'era nessuna, mentre il sole era maledettamente caldo e le cose a venire maledettamente incerte; e ancora una volta, era solo colpa tua.
Mi spiace averti dovuto spaventare un po'.
Oh, sono sicura che non cambierà nulla tra noi. Non sarai mai sufficientemente spaventata.
Altri giorni verranno.
Di nuovo pregherai scivolando in silenzio sulla traccia; e noi, ancora una volta, non potremo davvero far nulla.




Un altro giorno in cui ti ho fatto paura.

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