Wednesday, January 6

sorvegliato speciale


Ognuno sceglie da sè le proprie prigioni. In forma, durata, e dimensioni. 

Ognuno è circondato dalla gabbia della propria visione del mondo e dei rapporti con gli altri, e da quella delle categorie con cui ogni giorno ordinare l'esperienza. Il mondo è grande, confuso, brulicante di persone, fatti, eventi, sentimenti potenzialmente eversivi. Per questo è bene imprigionarsi, trovare la propria personale gabbia, le proprie personali sbarre invisibili; per avere un luogo da cui tendere le mani verso un al di là ora finalmente precluso, e perciò non più pericoloso. I piaceri della vita, ma anche solo la vita stessa, l'esistenza che scorre tra giorni simili, forse uguali, in una monotonia forzatamente amica, ha bisogno di divieti, barriere, che impediscano di vedere la possibilità del diverso. 
La fuggevole visione di libertà non è pericolosa se osservata da dietro il vetro opaco delle proprie prigioni. 
Rinchiudiamoci, rinchiudetevi: ci sono persone che attendono solo quello. 
Crearsi una routine, trovare qualcuno con cui condividerla; qualcuno non perfetto, per carità, qualcuno che ci va bene, che entri nella routine e sia parte di essa; perchè poteva andare peggio, perchè ormai siamo arrivati fin qua e tornare indietro sembra stupido. O no? 
Rinchiusi nella bolla, una felicità da quattro soldi non dissimile da quella del vitello al pascolo, che alza il muso umido al primo sole. E' felice anche lui: chissà, forse sente l'umidità della notte allontanarsi, forse ora si alzerà e brucherà stancamente un po' d'erbetta; negli occhi acquosi nessun sogno e nessun futuro, nessun pensiero preciso oltre l'attimo; e quando si accorgerà che da dietro un pino lo stiamo osservando, ecco in fondo allo sguardo un guizzo di paura, nero, ancestrale, universale, senza scampo. Basta così poco per mandare all'aria un poco di felicità. Ma noi siamo ben più organizzati. 
Ognuno sceglie con cura la propria prigione. Si guarderà il colore degli occhi, forse il portamento, si verificherà una qualche rispondenza al piacere individuale. Si sceglieranno con cura le cose da dire, le parole, un posto nel mondo, si penserà che non è bello star da soli, che forse è tempo di metter su famiglia: altre sbarre, una dopo l'altra, invisibili, sicure, amiche. Ci si sentirà infine rasserenati, la luce del mondo là fuori sarà un poco smorzata, eppure resterà sempre vera, non è così? 
Le possibilità sono infinite, ma quelle vicine a noi, quelle probabili, sono un numero preciso, calcolabile; ognuna di quelle possibiità è uno sguardo che sorride nella notte, un terremoto che scuote la gabbia, la visione istantanea, terribile, accecante, di una vita senza legami; una vaga immagine, del tutto inventata, indefinita come in un sogno, di quel che potrebbe essere, che è ciò per cui a volte si è provata una nostalgia strana, senza oggetto preciso, ugualmente dolorosa; il dolore è reale, è come una ferita aperta, ma il suo oggetto è qualcosa che non esiste. 
Che cos'è che così fortemente mi manca? Che cosa mi è stato strappato una volta per sempre, lasciandomi qui in perenne ricerca? Guardare verso la valle mentre le nuvole se ne vanno, osservare i vapori bianchi salire nell'azzurro,  campi lontani in rettangoli ordinati; tutte cose che mentre scorrono già mi mancano; odore di legna bruciata, di camini distanti, raggi di sole che sbucano da chissà dove tagliando l'aria. Un altro inverno anomalo, un altro anno che scorre, proprio ora, proprio qui, mentre lascio impronte incerte sulla poca neve. Sento una nostalgia potente e incancellabile per la nostra vita nelle sue possibilità intrinseche, inesplorate, fuori categoria. Già mi mancano tutte le persone che hanno scelto prigioni più anguste della mia. Già mi mancano quelle che hanno preso altre strade. Mi mancano addirittura, in momenti di sconforto, quelle strade che io stessa non ho preso, la cui ombra continua a vivere da qualche parte, luoghi in cui io stessa forse continuo a vivere, in uno dei tanti mondi possibili che ogni nostra scelta e ogni bivio della vita produce.
Per cui scusami, scusami se sono un po' triste anche per te, che della tua prigione non sembri accorgerti. Io sento il peso della mia, e faccio di tutto per renderla più ampia, per illudermi che non ci sia. Cerco di vivere allungando le braccia fuori dalle sbarre, cerco di sfiorarti e portarti verso di me. Ma in fondo, forse, si tratterebbe solo di portarti inun'altra gabbia. Può darsi, forse, che tu stia bene nella tua, che noi tutti stiamo bene nelle nostre, un po' come il vitellino stava bene sul suo prato finchè non ha scorto qualcuno che l'osservava da lontano. 
Del resto è il nostro stesso sguardo la prigione più grande, non è così?