Saturday, May 29


Questi bambini sono stati abbandonati. Li vedete ora in una foto di tanti anni fa. Sorridono e già è nei loro tratti qualcosa dei loro volti adulti. Sorridono, nessun presagio negli occhi sognanti. Nessun progetto. Quello più grande tiene il fratellino stretto a sè. Nessuna parola. Del mondo che verrà, nessuna traccia.

Fuori sta venendo sera. Mi diverto sempre a notare, imperterrito, quanto riesca a rimanere dove sono, con quanta forza riesca a oppormi ad un cambiamento che sarebbe solo forzato, e come in tutto questo mi trovi anche bene. E quanto è facile, abituarsi alle cose. Diventano semplicemente normali.

C’è un odio, che scorre sotterraneo, appena sotto tutte le cose pensate. È un sottofondo, una musica, il suono del mondo che scorre attorno. Il suono degli altri. È anche, forse, odio silenzioso per il destino di quei bambini. Tutti i bambini, proprio come loro, sono stati abbandonati. Qualcosa di tutto questo si ripete in ogni infanzia. Tuttavia sembrano vivere felici, ora che sono grandi. Tranquilli. Una tranquillità sempre uguale. Non è stato un problema, essere abbandonati. In realtà lo è, e quella strana arroganza che hanno oggi sembra urlare, dentro di loro, urla e piange ma è come urlare a una porta chiusa. Come essere sepolti vivi.

Capita anche a me, questa sensazione. Approfitto di quando sono sola in casa per urlare evitando così di farlo in situazioni non opportune. Nessuno vuole fare i conti col fatto di esser stato abbandonato. Nessuno vuole ora fare i conti con la propria impotenza. Accadono cose ingiuste, e dio solo sa quanto ora questa parola sia carica e piena e vera, per una volta. Eppure non mi scompongo. Le cose sono strane. Una brutta sensazione.

Ci sono cose irrisolte. Così come nessuno vuol riconoscere il proprio abbandono, e la propria impotenza, e abbassare gli occhi per riflettere rialzando solo dopo lo sguardo finalmente consapevole, allo stesso modo nessuno vede quanto sia tutto dannatamente irrisolto. Eppure basterebbe chiudersi un po’, stare per conto proprio, fare esperienza di una solitudine insensata, o fare qualche cosa che non abbia alcuno scopo preventivo, per vedere (improvvisamente, come un lampo, una visione spaventosa ma nuova) come tutto non abbia un senso, oltre le piccole cose che volutamente mettiamo in fila una dopo l’altra. Ordiniamo per dimenticare quello che fuoriesce, quello che non ci sta, nella nostra fila, le pedine che cadono, le pedine in eccesso, le pedine allo sbaraglio. Cosa possimo salvare in tutto questo, sembra esser stato già deciso. Voleva essere una domanda. Cosa possiamo salvare? Qualcuno ha già deciso per noi, cosa salvare. Cosa credere. Di cosa aver paura.

Così questa sensazione di cose che si ripetono non riesce a farmi alcun effetto. A volte un specie di angoscia mi prende, guardando le cose come sono e vedendo come saranno e sapendo che non sarò pronta. Anche guardando gli occhi gialli di un gattino, può prendermi una strana angoscia. Ci vedo qualcosa che mi fa paura. Qualcosa di me, probabilmente. Un gattino che gioca è divertente, da vedere da fuori, in un bel giorno fresco di maggio, la mattina preferibilmente. Ma un gattino che gioca è solo. Il gatto è un animale solitario, sarà solo tutta la vita. Evita di incontrare altri gatti. Se succede li allontana. Vuole i suoi spazi. È tranquillo solamente per conto suo. È come una scatola chiusa. Ha occhi gialli irresistibili, ma è solo e lo sarà sempre. Un senso di prigionia, di natura inconsapevole, esce da quegli occhi, va verso l’esterno, va verso di me, e vorrei comunicare, dire qualcosa che non abbia parole, come se un senso fosse comunicabile con l’aria, ma invece non dico niente, e dopo poco qualcuno dei due distoglie lo sguardo. Tra gatti lo sguardo è un affronto. Chi lo distoglie per primo se ne va da sconfitto.

Anche i bambini abbandonati non riescono a reggere lo sguardo. Per sopportare l’angoscia, che c’è ma è stata ricacciata indietro, usano stratagemmi. Gli occhiali da sole sono d’aiuto, in questi casi.

I bambini abbandonati si attaccano alle cose in modo morboso. Non stanno mai da soli. A volte senza accorgesene cercano, ingenuamente, inconsciamente, di comprare l’affetto altrui. Cercano di apparire forti. Si circondano di altri bambini abbandonati. È il festival dell’abbandono. L’abbandono è generalizzato. I genitori possono andare a fare la spesa del pesce senza che il pensiero dei bambini, ora grandi, li sfiori minimamente. Spendono tranquillamente un centinaio di euro in cernia, branzino e spada. Ora il sacchetto è un ammasso gelatinoso di pesce morto. I genitori non hanno pensieri, ora. I bambini sono cresciuti. Loro devono solo pensare a cucinare quei cento euro di pesce, prima che cominci a puzzare. I bambini abbandonati ne assaggeranno forse un po’, ma gli farà schifo, e lasceranno la cena-con-amici-dei-genitori per andare a far serata fuori, dove altri cento euro andranno in cose da bere, naturalmente e fortemente alcoliche. I genitori sorrideranno agli amici, e sorrideranno anche dentro di sè, e diranno con soddisfazione che i ragazzi crescono in fretta e che ormai son grandi. Poi finiranno cernia e spada e branzini vari, mentre i bambini abbandonati cercheranno, da qualche parte là fuori, modi alternativi per sostenere lo sguardo. Qualcosa di facile, preferibilmente. Non ci piacciono le cose impegnative. Nell’abbandono generale, cerchiamo di essere vincenti. Cerchiamo un felicità che appaia tale anche agli occhi degli altri. Dev’essere affermazione, posizione, vittoria. Bisogna sostenere lo sguardo. La sera infinita e i bicchieri di plastica pieni di birra sono vincenti. In questo senso e solo in questo, in questo mondo e non altrove. I genitori non vedono la catastrofe. Saranno tuttavia i primi a scappare quando tutto crollerà. Sono scappati già prima. Anzi sono stati i primi a scappare quando le cose sembravano eccessivamente difficili. Quando le crepe minacceranno di inghiottire loro, il loro pesce le loro cene, assieme coi loro figli abbandonati che quelle crepe hanno pian piano aperto. Ma i genitori avranno, quando il momento sarà giunto, la scialuppa pronta per scappare dalla nave. I bambini abbandonati saranno come l’orchestra che non smette di suonare anche quando la nave affonda.

Tuttavia affogheranno. Ora però di tutto questo orrore, non si vedono tracce.

Noi che invece le vediamo, affogheremo ugualmente.

Quando la nave sarà affondata il mare sarà calmo. Nell’acqua si zittirà la musica insensata che i bambini abbandonati non hanno smesso di suonare, stonata, insensata, disperata. L’acqua farà tacere tutti.

Il mare è silenzio, e pesci colorati.