Tuesday, December 8

amici nella notte

Oggi ho fatto solo quel che da tempo desideravo fare
stare tranquilla, al sole

Sento che la faccia sta per scoppiare
è bollente
è martellante
credo sia rosso fuoco, ma è buio per vedere

Credo di aver freddo
tuttavia non sento niente

Ho in testa una lampada
ora si riflette sul vetro di una finestra
è una pila frontale
è carina
è a led
ho sentito stamattina parlare dei led.
Alla radio
stavo facendo colazione.
E' stato divertente.

Ricordo di una notte di ottobre e di una montagna
io e la pila salivamo nel bosco
lento era sceso il buio, eppure sembrava ancora chiaro
tutto era così chiaro
tutto era nitido
dovevano essermisi trasformati gli occhi
avanzavo e vedevo tutto
Ho acceso la pila solo quando iniziavo a inciampare
niente chiarore notturno nel bosco
solo ombre di rami silenziosi

Ricordo una notte di ottobre e una montagna, e fuori dal bosco una luce
è in alto
è gialla, è calda
Qualcuno, là, aspetta.
La pila è azzurrina e colora le rocce su cui metto i piedi

Tutt'intorno si muovono animali
cose sconosciute a me familiari
rumori nel buio a cui non faccio caso
amici nella notte

Monday, November 23

è stato così tante volte

Questo sfondo mi distrae. Tutta la neve e la luce e il tramonto rosa. Mi distraggono. Adesso l’ho tolto.

Vorrei mettere un po’ di musica ma temo che mi distragga anche quella. Poi mi entra in testa e non vuole più andarsene. Mi martella. Ogni cosa è martellante in questo periodo.

Poco fa ero in giro con la bici. Niente di particolarmente impegnativo. Stava giusto scendendo un po’ di nebbia dal cielo sereno. Tutto è dannatamente umido adesso. Io e la bici ce ne andiamo mentre lente scendono nuvole piene di goccioline d’acqua sopra la mia testa.

Oggi è stata una giornata lunga. Oggi non è successo quel che di solito capita, cioè che le ore cominciano a correre alla velocità della luce per arrivare a sera. Oggi era come domenica. Una domenica lentissima. Sono certa che qualcosa si è fermato, oggi pomeriggio. C’era un bel sole, oggi pomeriggio, che si adagiava sul muro giallino di casa e sull’erba appena tagliata. L’erba somiglia a una distesa di capelli corti arruffati col gel. Questo giorno ha come sempre qualcosa di strano, e come sempre non so cosa sia. Come sempre non trovo niente che me lo spieghi, allora mi metto a fare altre cose e dopo un po’ me ne dimentico. Così per molti giorni.

Eccetera eccetera.

Oggi sulla bici è successa questa cosa carina. C’era una discesa, e io mi stavo giusto riposando, mentre per la nebbia non si vedeva più niente e tutto attorno era chiaro e vagamente azzurrino. Penso che sono contenta che ci sia questa discesa, proprio ora. Guardo l’asfalto sotto di me, che è a grana grossa e grigio chiaro, e l’asfalto mi chiede: Che c’è? Sei stanca? Che hai?

Non ho niente. Mi godo la discesa, suppongo. – gli dico.

E lui:

Non ti piace più la fatica?

La fatica è ok - dico io - ma senza altre cose di mezzo. Solo io e lei. Come era una volta. Ora sono cambiate tante cose. Ora ci sono troppe cose che si mettono in mezzo. Capisci?

L’asfalto sembra scorrere più lentamente. Non ho idea di chi stia guidando la bici. Di certo è qualcuno ma non sono io. Non riesco a capacitarmi di come faccia a stare in piedi. Sto a sentire cosa mi dice la strada.

Dice questo: Lo vedo. Io le vedo queste cose. Vedo tutto, voi non vi accorgete perchè siente dannatamente distratti. Ad ogni modo vedo che mi guardi in modo diverso.

E io rispondo questo:

Non so. Ora c’è sempre qualche cosa che mi viene in mente e così non riesco a far più nulla. Mi distrugge. Ti guardo e non c’è più solo la fatica. C’è molto altro, e la fatica non c’entra più niente. C’è tutto un mondo di cose che non vanno e sono come fango in cui i piedi affondano e non escono più e tante cose vorrei dire e fare e magari mettere un eccetera anche qui per dire che sono troppe per elencarle tutte e che forse non voglio dirne molte e che forse sono solo un pochino fuori di testa, giusto un po’. Ma queste cose mi fanno impazzire, per questo parlo con te caro il mio amico asfalto, in una sera di nebbia su una bici guidata da qualcuno che non sono io, capisci, capisci che la situazione non è esattemente la migliore possibile?

Queste che ti ho detto, sono queste le cose che si mettono in mezzo, quando devo attaccare la salita, quando devo mettere i passi uno dopo l’altro lungo una salita di sassi perchè allora tutte queste bastarde mi tirano indietro, si attaccano come folletti alle spalle e mi trascinano giù.

Silenzio ora. Questa discesa dev’essere infinita. C’è solo nebbia davanti a me. È bianca e ha il solito odore ferroso. Solo nebbia e asfalto grigio su cui le ruote vanno ad una velocità indefinita. L’asfalto grigio ora dice:

Non chiederti come lo so, ma i folletti se ne andranno. Quando succederà, io so che sarai lì. Ci sarò anch’io. Sarò sempre qui come tutte le altre cose. Ti guarderemo correre su questa strada.

È stato così tante volte.

L’asfalto mi guarda e non dice niente. Poi sembra dissolversi. Fa improvvisamente freddo e io mi ricordo degli scatti su questa strada, un giorno di novembre come questo.

La discesa è finita, l’asfalto ora non è più grigio ma nero, è nuovo, e non mi parla più. Sono di nuovo io alla guida della bici. Le goccioline di umido mi attraversano. Ho le mani congelate come al solito. Congelate ma incredibilmente in grado di frenare evitando di farmi ammazzare contro un ostacolo. Siamo in pianura ora. Ricomincio a pedalare. Una signora con la spesa compare e scompare nel bianco. Campanacci di mucche invisibili risuonano e sono vicinissimi. Le sento muoversi da qualche parte nel bianco, oltre la strada e oltre l’asfalto, oltre qualcosa che non vedo.

Vedo anche te, sia chiaro. Ti vedo come si vede oltre la nebbia. Come quando in casa ci si alza di notte e si vede tutto anche al buio. Ti vedo come si vedono le cose che si sanno a memoria.

Come passi di animali nella notte.

Thursday, November 12

dormendo su erba dorata








Questa è una storia strana. C'è qualcuno, il protagonista, che sale per una strada in mezzo a un prato. C'è una leggera brezza. Tutt'intorno il paesaggio è luminoso come fosse il primo giorno sulla Terra.


È il primo giorno sulla Terra. H., il protagonista, non sa bene cosa fare. È un giorno nuovo, ma a lui sembra di aver già vissuto per così tanto tempo da aver esaurito le cose da fare.

Ma tant'è.

Se non si mette in moto, la paura lo bloccherà per sempre. La morsa della paura è una delle cose più temibili, soprattutto se è il primo giorno sulla Terra. H sembra saperlo, e lo sa pur senza averne esperienza, lo sa come si sanno le cose necessarie, lo sa con un'evidenza abbagliante.

Forse, prima ancora di esistere, aveva provato la vera paura che ti gela il sangue. Tutti l’avevano provata.

Tutti l’avevano già dentro da sempre.


Ora H è stordito dal colore intenso del paesaggio e delle cose intorno a lui, le guarda con lunghe occhiate mentre continua a camminare, ha quasi timore adesso, vede che tutto è meraviglioso e non sa proprio come fare per avere, fermare, abbracciare tutto questo che ha davanti agli occhi. Come fare anche soltanto a non farsi divorare da tanta meraviglia. Pensò che non sapeva come fare perchè nessuno gliel'aveva insegnato. Qualcuno forse un giorno lo avrebbe fatto.




***

Non c'è nessuno sulla strada di terra. Nessuno sul prato dorato. Non è più il primo giorno sulla Terra. Ormai ne sono passati tanti, di giorni, generazioni anche, e tante volte il sole è calato e poi tornato di nuovo, e pioggia neve vento hanno accarezzato l'erba, che è stata una volta verde e una volta gialla, e poi di nuovo terra marroncina. H cammina ora, ed è proprio un bel giorno fresco e soleggiato. I pini stanno nitidi in lontananza e il loro colore è talmente intenso che sembra blu invece che verde. H non ha trovato nessuno, che gli insegnasse tutte le cose che voleva sapere. certo, ha visto molte cose, e molta gente. Tante cose gli hanno insegnato e di diversi tipi. E tante cose ha imparato, e tra quelle anche come non aver paura, come far finta di niente quando tutto sembra crollare.

H l'aveva capito subito, che non era tutto lì. Mancavano tante cose. H aveva sorriso, quando questa cosa gli era balenata nella mente. Non sapeva perchè tendeva a sorridere quando gli succedeva di esser sfiorato qualcosa che non avrebbe mai compreso completamente. Questa era una delle cose che nessuno, nè H nè nessun altro sapevano, il primo giorno sulla terra. Questo perchè la cosa del sorridere era una delle cose sempre state, che per questo H aveva preso a chiamare cose-sempre. Ce n'erano veramente un'infinità, di cose-sempre, che accomunavano un’infinità di esseri umani diversi.

Era divertente scoprirne ogni giorno di nuove.

Così, quando H sorrise, con gli occhi a fessura verso i pini lontani, si accorse di non avere più paura.

Aveva imparato alcune cose sulla paura, e ora stava relativamente bene.

H aveva vissuto tanti giorni sulla terra e aveva trovato tante cose da fare, ma poi era sempre tornato sulla strada dove aveva camminato, stordito e spaventato, tanto tempo prima. La strada, del resto, era stata lì ad aspettarlo.

O almeno questo era quel che pensava H.

In realtà la strada era lì proprio come lui e ogni sasso e filo d'erba e pietruzza e grumo di terra aveva cambiato posizione un migliaio di volte durante la sua assenza, e la pioggia aveva spesso scavato solchi. E poi la strada non si faceva alcun problema rispetto a H e a tutto il resto. Aveva la sua personale felicità, di cui nè H nè nessun altro, tanto meno la strada stessa, sapevano nulla.

H invece aveva qualche problema. Aveva scoperto che le regole della terra erano rigide e questa rigidità e conformità alla legge di causa ed effetto, senza possibilità di errore, era chiamata logica dalle persone che vivevano sulla terra.

A volte era anche detta necessità, quando si voleva sottolinearne il carattere di assoluta consequenzialità, e irreversibilità nella maggioranza dei casi.

Era stato facile imparare quante cose fossero senza ritorno, anche se H ogni volta si sorprendeva di come le cose rimanessero impresse in lui anche dopo essersene andate.

Non erano più davanti agli occhi, eppure da qualche parte c'erano ancora. C'erano, senza alcun dubbio.

Questa era una delle cose che H non era mai riuscito a imparare. Che nessuno gli aveva mai insegnato.

H si arrovellava spesso su questo problema.

Perchè da qualche parte devono pur essere, le cose che non sono più.

Le persone. E le cose passate.

Quel giorno lontano, le risa, i volti, da qualche parte devono pur essere, se io le sento ancora qui.

Così ragionava H, e fu una delle prime cose su cui spese giorni interi a domandare.

Dov'è ora quello che è stato?


H non sapeva rispondere. Nonostante ciò, era un esemplare eccellente di essere umano. Oltre ad essere sopravvissuto egregiamente dal primo giorno, aveva aderito fin da subito alla necessità, cioè l'aveva vista come assolutamente chiara, ovvia, in una parola, logica. Non con tutti i suoi simili capitava lo stesso.

Tuttavia, c’era stato un tempo in cui H era inconsapevole. Sapeva tutto quello che c’era da sapere, sapeva che ci sono regole e leggi, non solo nel mondo delle convenzioni umane ma anche più in grande, nel mondo della vita, che è quello di animali, fiori, piante, sassi ed è anche il suo.

Le cose erano sempre andate così, e andavano bene. O meglio, andavano come dovevano andare.

Necessariamente.

H era tranquillo, razionale, a volte triste, ma tutto era d'altronde necessario e non ci si poteva fare nulla.

Sapeva tutto questo ma il problema era che non ne aveva mai avuto esempi concreti. Mai niente gli era passato così vicino da scuoterlo. Così, a guardar bene, H non sapeva in effetti un bel niente.



***

L’esempio capitò un giorno nella vita di H che lui avrebbe ricordato come uno dei più strani e tristi.

H aveva un amico, che non vedeva da tempo, a cui a volte pensava e che voleva da tempo rivedere.

Successe che non riuscì a rivederlo. L’aveva incrociato per caso poco tempo prima ma non potè parlargli, lo vide di sfuggita come un ombra. Poi non potè più vederlo. Mai più.

H si rese improvvisamente conto del significato di necessità solo ora così presente, vero e reale. L’amico non c’era più. Glielo dissero. H non riuscì mai a ripeterlo. Nè tantomeno riuscì a dire la parola. H sapeva quale parola.

Lo lesse, lo rilesse, lesse anche i ricordi di altri amici. Ne parlò con altre persone, ma era come parlare d’altro. H ci provò, a farsi entrare in testa quel mai più. Ma non riuscì a ripetere un bel niente. Questo succedeva molti anni prima, H era giovane e quel giorno imparò una cosa nuova. Era una cosa nuova e dolorosa. Faceva un male cane. Come un coltello piantato nella schiena. Se avesse dovuto dargli un colore sarebbe stato un verde scuro, indefinito, inesistente nello spettro cromatico.

Cercò soluzioni. Vie di fuga. Possibilità di salvezza. Ma la necessità gli si parava davanti inesorabile, solo adesso veramente chiara, e ogni volta era come correre contro un muro di mattoni sperando di poterlo attraversare.

Quel mai più era guidato dalla stessa identica logica che non permetteva a un corpo solido di passare attraverso un muro.



***

Quello fu l’esempio. H aveva scoperto una cosa-sempre di cui non si era mai accorto (o di cui mai prima d’allora aveva voluto accorgersi) e fu la cosa-sempre più brutta che H scoprì, durante la sua permanenza sulla Terra.

Tuttavia, H era pieno di dubbi. Infatti, a differenza delle altre, questa cosa-sempre non era così evidente.

Anzi la tendenza era a credere nel contrario. Agli occhi di H questa questione era divisa in due, due piani distinti.

In uno l’amico non c’era più, e nessuno l’avrebbe mai più rivisto.

Nell’altro l’amico era lì, da qualche parte, nel posto dove stanno le cose che non sono più. Ed è un posto reale, non una qualche strana idea eterea e impalpabile. H ne era convinto, contro ogni logica.

H era anche convinto di trovarsi nel primo dei due mondi da lui pensati, ma sapeva che c’era un modo per fare un giretto nel secondo. Doveva esserci. Forse si trattava solo di imparare come fare.

Così oggi, proprio oggi, H cammina su questa strada, e la strada è in mezzo a un prato, e il prato è spazzato dal vento leggero così come il volto di H. E ne ha viste di cose, H, ne ha vissuti di giorni così strani, furiosi, difficili e anche bellissimi che sembravano non dover mai finire, e a tutto è ormai abituato. Quel giorno strano in cui aveva conosciuto la nuova cosa-sempre è lontano, forse dimenticato, sommerso da mille altri giorni.

Ma oggi, proprio oggi che tutto sembra così normale H sta in realtà combattendo, ed è allo stremo, perchè non vuole più la stupidissima necessità. H la vuole abolire, la dannatissima necessità. Cammina tranquillo nonostante tutto, e intorno a lui una bellezza fuori di testa, che se fosse il primo giorno sulla terra ci sarebbe da impazzire. Ma non lo è, ormai è uno degli ultimi, di giorni, e la necessità preme, è lì, è solo qualche passo più avanti sulla strada marroncina dove H mette i piedi uno dopo l'altro.



***

Ora H ha abbandonato la strada e avanza sull’erba, e l’erba sembra non finire mai, sembra arrivare all’abisso, è gialla e fantastica così come fantastico è il rumore che fa quando H ci cammina. H pensa che tante cose possono non essere più un problema. Da oggi, non lo saranno più. H non ha paura. Qualcuno verrà, ora. Ci deve pur essere, una legge alternativa. Ci deve pur essere, una via di fuga.

H si ricordò dei giorni tristi, i più tristi di sempre, e per la prima volta la loro esistenza è qualcosa di reversibile. La loro necessità non c’è più. H può tornare a quei giorni e poi di nuovo andare avanti, e indietro e avanti continuamente.

La strada marroncina è lontana, ora. L’erba sembra non finire mai.

H non è più H.

H non è più nessuno.

H non ha più bisogno di maestri.

Pensa questo e altro ancora. Ma già ogni cosa diventa semplice. Ora si cammina senza fatica.


C’è un pettirosso che vola nell’aria pulita oltre la testa di H, e disegna cerchi dorati nel cielo blu. H lo segue con lo sguardo finchè non sparisce oltre l’orizzonte erboso del prato. Sta per distogliere gli occhi quando vede che c’è qualcun’altro, ora, che sbuca da quell'orizzonte erboso.

È l’amico. Gli viene incontro sull’erba scricchiolante. Guarda in basso, intento a camminare.

Alza lo sguardo, vede H, sorride, i capelli lunghi ora danzano nel vento, torna il pettirosso dalle ali lievi e si posa silenzioso sulla sua spalla. H non ha bisogno di parole. La strada è lontana, il sole fermo in mezzo al cielo.

Nessuno in questo strano, nuovo, incredibile giorno sulla terra, ha più bisogno di parole. H sorride a quegli occhi, non li aveva mai dimenticati. Erano tra le cose rimaste da qualche parte, impresse, incancellabili.

Quelle di cui H si era tanto domandato quando si chiedeva dove mai fossero andate le cose che non ci sono più. H si accorse in quel momento che lo aveva sempre saputo, dove si trovassero.

Lo sentiva come una delle cose-sempre. Era tornato sulla sua strada innumerevoli volte alla ricerca di quello che sembrava sparito.

Adesso il suo amico sta davanti a lui, sull’erba dorata, e dietro sono le sagome nitide delle montagne, immobili, colorate, ora non più terribili. E il suo sorridere è immobile nel tempo, è felicità pura, è come una corsa a perdifiato oltre ogni cosa del mondo.

Non ha più paura, H, non ne avrà mai più. Ha trovato il posto che cercava, dove stanno le cose che non sono più, e questo gli basta. Non ha più niente da dire, H. Non ci sono più parole per l’ultimo giorno sulla terra, così come non ce n’erano il primo.

H si muove verso l’orizzonte azzurro, sull’erba luccicante, come mercurio piede alato senza far rumore, avanza verso il suo amico che da là lo guarda col pettirosso sulla spalla, il vento sa di neve ora, e tutto, tutto è finalmente chiaro.





Sunday, October 25


Scritto a mano sul quaderno, indecifrabile come sempre
Questo è un addio
Vorrebbe essere l’addio di oggi che non sono riuscita a sopportare
Mi dispiace
Per un sacco di cose dispiace sempre, e sempre è tardi
Ma non importa
Non mi interessa se è tardi
Oggi mi è sembrato di vedere una bandiera bianca in cima alla croce della presolana
E’ stato abbastanza
E’ stato giusto così
Qualunque cosa voglia dire giusto

Thursday, October 22

κἁθαρσις (katharsis)



Karloz K. è sconvolta.

Karloz K. non riesce a smettere di pensare e non vuole rassegnarsi.

Karloz K. è proprio sconvolta, ma non vuole dirlo.

Ci sono cose che muoiono, attorno a lei, cose che se ne vanno prima del tempo e altre che vanno via in perfetto orario secondo la legge che già conosciamo, ma a cui non vogliamo abituarci.

Sia l’una che l’altra di queste cose hanno rotto qualcosa, nell’equilibrio di Karloz K. . Adesso c’è rabbia, e avvolge tutto e tutto fa ruotare come un tornado, e lancia in giro pezzi sparsi, parole e ricordi che sembrano staccati da tutto. Sembrano veri. Da qualche parte sono sicuramente veri. Forse non nella nostra dimensione. E così K.K. cerca soluzioni, vie di fuga. Talvolta le crea dal nulla, vede che non stanno in piedi e le scarta. K.K. fa questo a tutte le ore del giorno, oltre a continuare a darsi schiaffi e pizzicotti sperando di svegliarsi.

Karloz K. stasera si accontenterà. Anche se ha sempre odiato accontentarsi. Odia anche arrendersi, smettere di tentare.

Ma K.K. adesso non può che odiare, proprio ora proprio qui, proprio in questo istante e in quell’altro, maledetto. Odia le cose che non vanno come dovrebbero andare. Ed è curioso, perchè le sembra di avere la testa chiusa in un sacchetto di plastica.

Karloz K. vorrebbe salire, correre su di un sentiero erboso facendo finta che non sia successo niente, come poco tempo fa poteva fare, perchè fino a ieri, solo fino a ieri poteva farlo. La montagna è tranquilla, ferma nell’azzurro. Ora anche il loro sguardo odia, pur sapendo che non può odiarlo; e questo incasina tutto; questo, tutto quello che viene dopo, è confusione massima. Lui non vorrebbe che le odiasse. A suo tempo, lui non le ha odiate. Loro hanno portato via in silenzio qualcosa di suo e lui per tutta risposta le ha amate ancora di più.

Ma ora K.K. non sopporta più le montagne dallo sguardo assente. È uno sguardo senza occhi e ora è improvvisamente invadente. È oltre ogni misura, è troppo troppo e troppo

***

K.K. vorrebbe essere felice per la prima spruzzata di neve là in alto. L’anno scorso nello stesso periodo ci aveva camminato, sulla prima spruzzata di neve.

Era scricchiolante. Era fredda. Meravigliosa.

K.K. era arrivata sulla cresta oltre la cima verde all’alba e il cielo era grigio e l’aria gelata, un vento freddo saliva dalla valle, e tutto era perfettamente nitido. E K.K. ricorda di aver riso e amato tanto quel vento assurdo mentre per la troppa aria gli occhi socchiusi le si riempivano di lacrime congelate, lacrime di felicità per quel vento e quel giorno appena iniziato e perchè in realtà stava morendo di freddo come al solito, una maglietta e il pile non sono ovviamente sufficienti e allora il lato sinistro è mezzo congelato, e l’aria che entra nei polmoni è troppo fredda, ma K.K. continua imperterrito a camminare sulla cresta, inciampando, e non smette di guardare quello stratino bianco su cui mette i piedi, e si stanno congelando anche quelli ma lei continua a ridere e non sa bene il perchè, ma sa che lui lo sa, il perchè, così come lo sa la parete là in alto, che ora si perde nel grigio del cielo. K.K. si ricorda troppe cose. Non sa se riuscirà ancora a salire quella cresta senza che lui le appaia davanti agli occhi, mentre corre verso lo spigolo con una corda messa a tracolla, come è stato in quella bella mattina di settembre. Perchè corresse nessuno mai lo saprà.

K.K. sa che dovrebbe lasciar andare. Dovrebbe smetterla. K.K. ha paura, ma non vuole più odiare.

Ora corre sulla cresta, e il vento le ha completamente congelato la parte sinistra della faccia, il braccio e tutto, e la neve scricchiola, e scivolano i piedi sull’erba che c’è sotto; e K.K. ride, o forse piange, perchè è convinta che tra un attimo tornerà giù, giù per la stradina di sassi, e arriverà al rifugio appena in tempo, arriverà prima che faccia buio, prima di non vederci più niente, ed entrerà dalla porta sul retro nella luce abbagliante della sala e tu sarai lì, al tavolo con la cena e con gli altri e sorriderai con gli occhi illuminati e riderai anche tu, mentre fuori è proprio buio ora, e freddo, e lo strato di neve se n’è andato già.

***

Con queste parole K.K. vuole lasciarti andare. Ti ha detto tutto questo perchè sapessi quanto fossi importante per noi; quanto il tuo esserci fosse qualcosa di già dato ma di essenziale come lo sono l’aria, l’acqua e qualunque elemento naturale; e che era un bambino quello che correva una mattina di settembre.

K.K. tornerà anche sulla cresta a salutarti, quando tutto questo sarà passato.

Guarderà la valle e la rabbia si scioglierà in silenzio, nell’aria fredda che sa di inverno e di legna bruciata.

Tutto questo, ogni nostra parola diverrà neve.

Guarderemo ancora in alto senza paura.