Tuesday, October 1

la Toscana d'inverno


Com'è la Toscana d'inverno? Credevo di ricordarmelo e invece non lo so più.
Le nuvole corrono in un cielo chiaro, limpido e grandissimo e tutte le cose che stanno sotto non hanno più senso. Ci sono io che seguo questa macchina per le curve dolci delle colline, che ora sono verde acceso, brillano di tenere foglie nuove. Questo è un viaggio eterno. Ho fatto questa strada tante volte ma il viaggio di oggi resterà stampato nella mia testa per sempre. Non penso più a com'è la toscana d'inverno perché adesso qui è improvvisamente primavera. Da oggi le cose non saranno più le stesse.
La mia stupida presunzione di riuscire a non farmi coinvolgere troppo dalle cose ha fallito in pieno. Flash dell'infanzia mi invadono la  mente. Oggi l'aria è fina e appena tiepida. In questa casa ora vuota l'estate ha i profumi intensi del fico e della terra riarsa dal sole. Che senso ha tutto questo quando noi ce ne andiamo? Chi starà nella mia stanza quando io non ci sarò più?
La strada corre davanti a me ad una velocità che mi permette di guardarmi intorno. È tutto una distrazione oggi, per non guardare troppo la macchina grigia là davanti. Sull'asfalto stanno delle foglie che il vento prende e sposta in circoli ordinati e fa danzare in aria. A tratti stormi di uccelli attraversano il cielo davanti a noi. Ricordo solo ora di quella volta, tempo fa non lontano da qui, in cui due cervi mi attraversarono la strada. Uno si fermò nel mezzo e mi guardò fisso, i muscoli tesi, immobile. Nei suoi occhi, un terrore puro e naturale. Dopo un attimo corsero via, scivolando gli zoccoli sull’asfalto.

***

In chiesa, quando tutti stanno ancora prendendo posto, in signore simpatico, con folti capelli bianco argento, saluta la nonna. Le prende il viso tra le mani sorridendo e ripetendo il suo nome, la nonna un po' si scosta ma sorride anche lei. Chissà da quanto si conoscono e da quanto non si vedevano. Ma ora sembra che il tempo non sia passato, sembrano amici che si sono appena lasciati e ora si rivedono. Quel gesto è familiare, amico, pieno di una sorta di amore universale. La nonna ha gli occhi lucidi. Non avevo mai visto la nonna così. Per la prima volta da quando non c’è più il nonno, non mi è sembrata sola. Più tardi, mentre camminiamo sulla strada deserta e assolata che va verso i campi e verso il cimitero, mi appare improvvisamente il senso di quella visione, e li vedo tutti di nuovo, li vedo bambini e poi ragazzi, e poi giovani come me, li vedo tutti come esseri umani senza età, e poi rivedo me e mi sento persa. I cipressi sono alti e folti e si muovono piano nel vento. Quante giornate come questa in Toscana. Improvvisamente li vedo tutti e scopro che tra me e loro non c’è in fin dei conti alcuna differenza. Che cosa significa essere giovani? Perché tutti continuano a dire questa cosa? Osservo rapita le foto di parenti lontani e il senso di tutto questo appare semplice come non mai nella sua assurdità. Forse è un compito, un ciclo, un cerchio che ogni volta riparte e poi si chiude; forse la nostra vita è davvero il battito di ciglia di un dio sconosciuto.
Così, in chiesa, accade che riesco a restare tranquilla per tutto il tempo in cui il prete parla. Dice di dio, di comunione, di giudizio, di libertà e di amore. Dice tante belle cose che però vengono dette per ogni morto, in modo che ogni volta le persone che stanno là davanti con gli occhi lucidi abbiano un po' di sollievo. Mi concentro in questo esercizio, come facevo alle messe della scuola, e come avevo fatto al funerale del nonno; ricordo che ci ero riuscita finchè Giulia, che aveva sette anni, sentendo il suono dolce delle preghiere cantate, non era scoppiata a piangere attaccandosi al mio braccio. Allora ho pensato che niente di quel giorno, di quei mesi passati, e niente di quello che era successo al nonno aveva una parvenza di senso. Ho smesso solo da poco tempo di sognare che le cose andassero in modo diverso. Per mesi e anni, in tante notti ho sognato di un epilogo diverso, l'epilogo alternativo. Sognavo che il nonno ci venisse restituito così come lo ricordo quando stava bene.

***

Tuttavia questa volta, in chiesa, è stato diverso, più sereno. È successa una cosa strana, e cioè che a mandarmi in crisi non è stata la morte, ma la vita. Stringere le mani delle persone, vederne i sorrisi, sentire i loro ricordi mi lasciava inebetita e non in grado di rispondere. A volte mi pare che siamo freddi, nei nostri rapporti con gli altri. Anche con le persone vicine. A volte vorremmo dire tante cose ma dalla bocca non esce niente. All'improvviso vedo me stessa ringraziare ed esprimere quello che davvero ho dentro ad ognuna di queste persone. Ma è solo una visione. Nella realtà riesco solo a balbettare qualcosa, e a mettere tutto il mio calore nelle strette di mano, ma niente di più, niente di quello che vorrei. Alla fine non sono per nulla sicura di aver detto tutto. Mi pare di aver detto le solite cose, mentre tutto il resto continua a vorticarmi dentro.

La seconda cosa che mi ha mandato in crisi e di cui mi sono accorta solo tempo dopo, è stata la crema di zia Lina. L'ultima crema che era rimasta in frigo dalla domenica. L'abbiamo mangiata martedì, a pranzo, dopo essere tornati da torrenieri. Era proprio l'ultima. Non me ne rendo conto subito. Quella stessa sera, molte ore e molti chilometri più tardi, quando rimango da sola nel buio della macchina a ripensare a tutto il vortice degli avvenimenti, mi torna in mente la crema, capisco che era davvero l'ultima e capisco che niente sarà più come prima, e allora come Giulia scoppio a piangere a dirotto. Continuo a guidare, osservando attraverso le lacrime i fari rossi delle auto davanti a me  diventare luci tremolanti e incerte, la strada scura e il cielo nero scorrere nella notte ignari di tutto, e anche io mi sento vuota e stanca, di una stanchezza inutile e senza senso.


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