Com'è la Toscana d'inverno?
Credevo di ricordarmelo e invece non lo so più.
Le nuvole corrono in un cielo
chiaro, limpido e grandissimo e tutte le cose che stanno sotto non hanno più
senso. Ci sono io che seguo questa macchina per le curve dolci delle colline, che ora
sono verde acceso, brillano di tenere foglie nuove. Questo è un viaggio eterno.
Ho fatto questa strada tante volte ma il viaggio di oggi resterà stampato nella
mia testa per sempre. Non penso più a com'è la toscana d'inverno perché adesso
qui è improvvisamente primavera. Da oggi le cose non saranno più le stesse.
La mia stupida presunzione di
riuscire a non farmi coinvolgere troppo dalle cose ha fallito in pieno. Flash
dell'infanzia mi invadono la mente. Oggi
l'aria è fina e appena tiepida. In questa casa ora vuota l'estate ha i profumi
intensi del fico e della terra riarsa dal sole. Che senso ha tutto questo quando
noi ce ne andiamo? Chi starà nella mia stanza quando io non ci sarò più?
La strada corre davanti a me ad
una velocità che mi permette di guardarmi intorno. È tutto una distrazione
oggi, per non guardare troppo la macchina grigia là davanti. Sull'asfalto
stanno delle foglie che il vento prende e sposta in circoli ordinati e fa
danzare in aria. A tratti stormi di uccelli attraversano il cielo davanti a
noi. Ricordo solo ora di quella volta, tempo fa non lontano da qui, in cui due
cervi mi attraversarono la strada. Uno si fermò nel mezzo e mi guardò fisso, i
muscoli tesi, immobile. Nei suoi occhi, un terrore puro e naturale. Dopo un
attimo corsero via, scivolando gli zoccoli sull’asfalto.
***
In chiesa, quando tutti stanno
ancora prendendo posto, in signore simpatico, con folti capelli bianco argento,
saluta la nonna. Le prende il viso tra le mani sorridendo e ripetendo il suo
nome, la nonna un po' si scosta ma sorride anche lei. Chissà da quanto si
conoscono e da quanto non si vedevano. Ma ora sembra che il tempo non sia
passato, sembrano amici che si sono appena lasciati e ora si rivedono. Quel
gesto è familiare, amico, pieno di una sorta di amore universale. La nonna ha
gli occhi lucidi. Non avevo mai visto la nonna così. Per la prima volta da
quando non c’è più il nonno, non mi è sembrata sola. Più tardi, mentre
camminiamo sulla strada deserta e assolata che va verso i campi e verso il
cimitero, mi appare improvvisamente il senso di quella visione, e li vedo tutti
di nuovo, li vedo bambini e poi ragazzi, e poi giovani come me, li vedo tutti
come esseri umani senza età, e poi rivedo me e mi sento persa. I cipressi sono
alti e folti e si muovono piano nel vento. Quante giornate come questa in Toscana.
Improvvisamente li vedo tutti e scopro che tra me e loro non c’è in fin dei
conti alcuna differenza. Che cosa significa essere giovani? Perché tutti
continuano a dire questa cosa? Osservo rapita le foto di parenti lontani e il
senso di tutto questo appare semplice come non mai nella sua assurdità. Forse è
un compito, un ciclo, un cerchio che ogni volta riparte e poi si chiude; forse
la nostra vita è davvero il battito di ciglia di un dio sconosciuto.
Così, in chiesa, accade che
riesco a restare tranquilla per tutto il tempo in cui il prete parla. Dice di
dio, di comunione, di giudizio, di libertà e di amore. Dice tante belle cose
che però vengono dette per ogni morto, in modo che ogni volta le persone che
stanno là davanti con gli occhi lucidi abbiano un po' di sollievo. Mi concentro
in questo esercizio, come facevo alle messe della scuola, e come avevo fatto al
funerale del nonno; ricordo che ci ero riuscita finchè Giulia, che aveva sette
anni, sentendo il suono dolce delle preghiere cantate, non era scoppiata a
piangere attaccandosi al mio braccio. Allora ho pensato che niente di quel
giorno, di quei mesi passati, e niente di quello che era successo al nonno
aveva una parvenza di senso. Ho smesso solo da poco tempo di sognare che le
cose andassero in modo diverso. Per mesi e anni, in tante notti ho sognato di
un epilogo diverso, l'epilogo alternativo. Sognavo che il nonno ci venisse
restituito così come lo ricordo quando stava bene.
***
Tuttavia questa volta, in chiesa,
è stato diverso, più sereno. È successa una cosa strana, e cioè che a mandarmi
in crisi non è stata la morte, ma la vita. Stringere le mani delle persone,
vederne i sorrisi, sentire i loro ricordi mi lasciava inebetita e non in grado
di rispondere. A volte mi pare che siamo freddi, nei nostri rapporti con gli
altri. Anche con le persone vicine. A volte vorremmo dire tante cose ma dalla
bocca non esce niente. All'improvviso vedo me stessa ringraziare ed esprimere
quello che davvero ho dentro ad ognuna di queste persone. Ma è solo una
visione. Nella realtà riesco solo a balbettare qualcosa, e a mettere tutto il
mio calore nelle strette di mano, ma niente di più, niente di quello che
vorrei. Alla fine non sono per nulla sicura di aver detto tutto. Mi pare di
aver detto le solite cose, mentre tutto il resto continua a vorticarmi dentro.
La seconda cosa che mi ha mandato
in crisi e di cui mi sono accorta solo tempo dopo, è stata la crema di zia Lina.
L'ultima crema che era rimasta in frigo dalla domenica. L'abbiamo mangiata
martedì, a pranzo, dopo essere tornati da torrenieri. Era proprio l'ultima. Non
me ne rendo conto subito. Quella stessa sera, molte ore e molti chilometri più
tardi, quando rimango da sola nel buio della macchina a ripensare a tutto il
vortice degli avvenimenti, mi torna in mente la crema, capisco che era davvero l'ultima
e capisco che niente sarà più come prima, e allora come Giulia scoppio a
piangere a dirotto. Continuo a guidare, osservando attraverso le lacrime i fari
rossi delle auto davanti a me diventare
luci tremolanti e incerte, la strada scura e il cielo nero scorrere nella notte
ignari di tutto, e anche io mi sento vuota e stanca, di una stanchezza inutile
e senza senso.
No comments:
Post a Comment