Tuesday, August 6

informazione di servizio


Eccoci! Vi sarete chiesti che fine avessi fatto, non è così? Che fine ha fatto la mia urgenza di parlare, parlarne, comunicare la mia insofferenza verso il mondo.  Invece niente. Nessuna voce, nessun lamento e nessun grido.

Silenzio.

Oh, ma vi assicuro che quel che conta c’è ancora, è tutto dentro. Lo sento rivoltarsi, contorcersi dentro di me come un figlio che vorrebbe veder la luce. Un figlio che non esiste. Senza occhi né bocca. Ma lui è lì e devo liberarmene. È bello, per una volta parlare da sola. È strana, questa mia trasformazione. Non sono più sola, adesso; in verità non riesco a capire cosa mi succede, o forse un poco di comprensione sta iniziando solo ora; sono letteralmente in balia degli eventi.  Giorni e cose, giorni pieni di vita che solo un anno fa desideravo ardentemente senza mai vederli, ora si accavallano, si susseguono, si accatastano letteralmente l’uno sull’altro senza che io riesca a coglierne appieno il senso e la meraviglia. Allo stesso modo, non riesco più a concentrare l’attenzione sulle cose che mi fanno soffrire e mi infastidiscono, oppure semplicemente su quelle che mi colpiscono. Prima era così facile, farsi sconvolgere dalle cose, dagli eventi, anche solo dalle piccole ispirazioni e illuminazioni di cui erano costellati i miei giorni, sebbene quei giorni, a ripensarci oggi, fossero miseri e vuoti in confronto a ora. Eppure, io avevo qualcosa in più. Ero proprio io. Ora mi sento come sdoppiata, perché ci sono io e c’è lui e poi ci sono io con lui. E arriviamo quindi a tre, la cosa si complica.

Cara la mia KK, lei deve imparare una cosa che la salverà la vita nei momenti bui. Lei deve imparare a credere nella sua propria FORZA. Sa cosa significa? Devo proprio essere io a spiegarglielo? Ebbene, la sua forza è quella che le ha permesso di buttarsi nelle sfide. Di continuare a pedalare anche quando sembrava impossibile. Quante volte le cose le sono sembrate impossibili? E quante volte, con la forza e la costanza, ha superato muri insormontabili? Quanti di quei muri sono ora dietro le sue spalle? Li conti, li ricordi uno per uno, ne rammenti la metamorfosi che lei, e solo lei, è stata capace di imprimervi. Questa cosa, è la sua forza.


Sagge parole. Ha in effetti colto nel segno. Troppe volte mi sento svuotata. Lui mi fa sentire così, ma immagino che una parte della questione sia il naturale esito dell’incontro, finalmente, con gli Altri. Da sola era tutto più logico e semplice. Ma non è possibile generalizzare. In ogni caso, dobbiamo continuare il discorso di prima. Quello sdoppiamento mi causa non pochi problemi. È davvero una cosa che non riesco a comprendere. Qualcosa dentro di me ha smesso di funzionare; sono come perennemente distratta. Non riesco a focalizzare la mia esistenza e il suo possibile sviluppo futuro. Sto qui e vivo, semplicemente. Mi godo anche il fatto di poter vedere dei risultati in tutte le mie faticate in bici, a piedi e con gli sci. Prima era come girare sulla ruota del criceto. È successo, ad un certo punto di molti anni fa, che il mio corpo ha smesso di rispondere.  Soffriva e basta. Non c’era allenamento, non c’era avanzamento. Stanchezza continua, a cui mi ero abituata. Pensavo di essere così. La cosa deve aver avuto degli effetti psicologici sulla mia già problematica persona, perché alla fine credevo proprio che fosse un problema mio. Ricordo innumerevoli volte in cui ho dovuto arrendermi perché le gambe non mi reggevano oltre. Ricordo di aver guardato in alto e poi in basso, su una distesa di sassi, e di essere stata lì un po’ con le mani sulle ginocchia, a sentire il sudore correre lungo la schiena e sulle tempie, e da lì andare a impastare gli occhi. A ripensarci adesso, senza voler esagerare, tutte quelle volte in cui mi sono fermata non erano altro che piccole, microscopiche sconfitte. Una dopo l’altra, giorno dopo giorno. Questo non potermi fidare del mio corpo, non poter sapere se resisterà e quanto, mi toglieva fiducia, distruggeva l’immagine di me stessa, mi metteva ogni volta di fronte al mio senso di debolezza. Chissà il mio corpo, la sua povera carne e muscoli e ossa, quanto stress ha subito in  anni di anemia. Chissà la mia testa, dopo anni di debolezza, come deve sentirsi. Oggi sto bene. Niente più stanchezza. Soffro solo quando lo dico io, e poche altre volte. Ma la mia testa è rimasta a tratti debole. Non si fida. A volte ride di me, quando non riesco a spingere sui pedali come vorrei. A volte ride di me e basta, allora io accendo la musica e vado da un’altra parte, finchè la sua voce e la mia voce non le sento più.



Gavia 1988



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