Thursday, July 16

walk away

mi dispiace, per sandro.
insomma, tutte quelle ore di attesa, seduti in terra nel corridoio angusto del dipartimento, col sole che silenzioso attraversava nubi sottili rese nitide dal vetro sporco, potevano finire un po' più dignitosamente. poteva esserci altro, oltre a una mattinata passata in terra.
comunque, questo è quel che accade sopra le nostre teste. guardare ogni cosa dal basso fa sentire in un certo senso sollevati. niente è poi così terribile, visto da qui. o meglio, forse non c'è niente di più terribile. ormai sei in terra. sei come rassegnato. sei talmente in basso che risalire sulla sedia sarà già un notevole miglioramento.
ora quel che accade sopra le nostre teste è quel che conta. il corridoio è affollato di gente spaurita. persone che vanno e vengono con mazzi di chiavi. professori, suppongo. ce n'è uno con la barba che va e viene una ventina di volte, e a ognuna si esibisce in gesti stizziti, tentando di far presente che con tutti quei fogli ai suoi piedi non riuscirà mai a passare. delle tipe dai vestiti che sembrano incarti di caramella se ne stanno infatti accampate in stile indiano a ripassare, impedendo chiaramente il passaggio. in realtà non fanno che ripetere subitizing e counting, confondendoli e scambiandoli continuamente, in un casino di nozioni incredibile. anche lunedì, all'appello, le capacità numeriche di alex sembravano essere le loro uniche preoccupazioni. in due giorni non è cambiato niente. adesso stanno sedute tutte aggrovigliate e guardano il tipo barbuto che vuol passare come se fosse lui quello strano, che sta in piedi invece di gattonare o strisciare, e come se il suo passaggio mettesse in serio pericolo l'esito dell'esame.
poi, come le acque bibliche, le tipe e la loro valanga di appunti si richiudono dopo il suo passaggio.

questo è il sottotetto, e il sole a picco di mezzogiorno ha raggiunto la finestrella strana che c'è sul soffitto basso. fuori, si intravede parte delle tegole e parte della vecchia costruzione di non so quale epoca antica, che stona irreparabilmente con il posto dove siamo noi e i suoi muri anni sessanta. sembrano graffiati, come i graffi lasciati dai camion sulle pareti delle vie strette. la cosa occupa la mia mente per un periodo indefinito, in cui mi scervello per trovare motivi validi per cui un muro debba avere un simile aspetto. poi mi distraggo a guardare altre cose altrettanto curiose. appesi alla parete, uno per ogni porta, ci sono dei pannelli di sughero di quelli per attaccarci le cose. c'è la foto di un tipo con una barba modello rasputin che sorride sotto una didascalia che dice qualcosa come "...the great metaphysic of the century.." . il foglio un po' giallino su cui è stampato sembra provenire dalla preistoria dei computer. dall'altra parte del muro, quella di fianco all'ufficio, c'è una foto di koko e della ricercatrice, che con i capelli biondi mossi dal vento ha un'aria angelica da figlia dei fiori.
in ogni caso, dopo poco il muro smette di interessarmi. l'aria, a parte la gente che parla, è ferma. il tutto, pensandoci bene, somiglia vagamente a una serra. se non altro la luce è quantomeno naturale. il sole, incurante del fatto che faccia già caldo, si stende sugli appunti sparsi sul pavimento. come una cascata di luce gialla, entra anche nell'ufficio del professore, che è proprio davanti a me oltre la porta aperta. sul tavolo ci sono pile di fogli, e libri. ma queste sembrano cose secondarie. la cosa più carina è vedere la polvere da questa visuale. se ne sta in quegli angoli che non ti sogneresti mai di andare a guardare.

è interessante vedere come il pavimento non venga pulito da millenni. sembra sia parte essenziale di tutto questo. è tutt'uno con questo momento e questo giorno, tutt'uno col fatto di stare in terra in posizioni scomode, a guardare il cielo attraverso un vetro così sporco da somigliare a quelli che si usano per vedere l'eclisse. da qui ogni cosa ha un senso diverso. nell'ufficio, vedo le superga blu del professore che si allungano tranquillamente di lato fino a sparire dietro a un cumulo di cassetti. le scarpe dell'interrogato, invece, si agitano senza posa sotto la sedia.



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