Questo sfondo mi distrae. Tutta la neve e la luce e il tramonto rosa. Mi distraggono. Adesso l’ho tolto.
Vorrei mettere un po’ di musica ma temo che mi distragga anche quella. Poi mi entra in testa e non vuole più andarsene. Mi martella. Ogni cosa è martellante in questo periodo.
Poco fa ero in giro con la bici. Niente di particolarmente impegnativo. Stava giusto scendendo un po’ di nebbia dal cielo sereno. Tutto è dannatamente umido adesso. Io e la bici ce ne andiamo mentre lente scendono nuvole piene di goccioline d’acqua sopra la mia testa.
Oggi è stata una giornata lunga. Oggi non è successo quel che di solito capita, cioè che le ore cominciano a correre alla velocità della luce per arrivare a sera. Oggi era come domenica. Una domenica lentissima. Sono certa che qualcosa si è fermato, oggi pomeriggio. C’era un bel sole, oggi pomeriggio, che si adagiava sul muro giallino di casa e sull’erba appena tagliata. L’erba somiglia a una distesa di capelli corti arruffati col gel. Questo giorno ha come sempre qualcosa di strano, e come sempre non so cosa sia. Come sempre non trovo niente che me lo spieghi, allora mi metto a fare altre cose e dopo un po’ me ne dimentico. Così per molti giorni.
Eccetera eccetera.
Oggi sulla bici è successa questa cosa carina. C’era una discesa, e io mi stavo giusto riposando, mentre per la nebbia non si vedeva più niente e tutto attorno era chiaro e vagamente azzurrino. Penso che sono contenta che ci sia questa discesa, proprio ora. Guardo l’asfalto sotto di me, che è a grana grossa e grigio chiaro, e l’asfalto mi chiede: Che c’è? Sei stanca? Che hai?
Non ho niente. Mi godo la discesa, suppongo. – gli dico.
E lui:
Non ti piace più la fatica?
La fatica è ok - dico io - ma senza altre cose di mezzo. Solo io e lei. Come era una volta. Ora sono cambiate tante cose. Ora ci sono troppe cose che si mettono in mezzo. Capisci?
L’asfalto sembra scorrere più lentamente. Non ho idea di chi stia guidando la bici. Di certo è qualcuno ma non sono io. Non riesco a capacitarmi di come faccia a stare in piedi. Sto a sentire cosa mi dice la strada.
Dice questo: Lo vedo. Io le vedo queste cose. Vedo tutto, voi non vi accorgete perchè siente dannatamente distratti. Ad ogni modo vedo che mi guardi in modo diverso.
E io rispondo questo:
Non so. Ora c’è sempre qualche cosa che mi viene in mente e così non riesco a far più nulla. Mi distrugge. Ti guardo e non c’è più solo la fatica. C’è molto altro, e la fatica non c’entra più niente. C’è tutto un mondo di cose che non vanno e sono come fango in cui i piedi affondano e non escono più e tante cose vorrei dire e fare e magari mettere un eccetera anche qui per dire che sono troppe per elencarle tutte e che forse non voglio dirne molte e che forse sono solo un pochino fuori di testa, giusto un po’. Ma queste cose mi fanno impazzire, per questo parlo con te caro il mio amico asfalto, in una sera di nebbia su una bici guidata da qualcuno che non sono io, capisci, capisci che la situazione non è esattemente la migliore possibile?
Queste che ti ho detto, sono queste le cose che si mettono in mezzo, quando devo attaccare la salita, quando devo mettere i passi uno dopo l’altro lungo una salita di sassi perchè allora tutte queste bastarde mi tirano indietro, si attaccano come folletti alle spalle e mi trascinano giù.
Silenzio ora. Questa discesa dev’essere infinita. C’è solo nebbia davanti a me. È bianca e ha il solito odore ferroso. Solo nebbia e asfalto grigio su cui le ruote vanno ad una velocità indefinita. L’asfalto grigio ora dice:
Non chiederti come lo so, ma i folletti se ne andranno. Quando succederà, io so che sarai lì. Ci sarò anch’io. Sarò sempre qui come tutte le altre cose. Ti guarderemo correre su questa strada.
È stato così tante volte.
L’asfalto mi guarda e non dice niente. Poi sembra dissolversi. Fa improvvisamente freddo e io mi ricordo degli scatti su questa strada, un giorno di novembre come questo.
La discesa è finita, l’asfalto ora non è più grigio ma nero, è nuovo, e non mi parla più. Sono di nuovo io alla guida della bici. Le goccioline di umido mi attraversano. Ho le mani congelate come al solito. Congelate ma incredibilmente in grado di frenare evitando di farmi ammazzare contro un ostacolo. Siamo in pianura ora. Ricomincio a pedalare. Una signora con la spesa compare e scompare nel bianco. Campanacci di mucche invisibili risuonano e sono vicinissimi. Le sento muoversi da qualche parte nel bianco, oltre la strada e oltre l’asfalto, oltre qualcosa che non vedo.
Vedo anche te, sia chiaro. Ti vedo come si vede oltre la nebbia. Come quando in casa ci si alza di notte e si vede tutto anche al buio. Ti vedo come si vedono le cose che si sanno a memoria.
Come passi di animali nella notte.
3 comments:
Se posso fare una riflessione... non credo che ci sia un posto per le cose che "non sono più"... perchè le cose ( o le persone) non possono smettere di essere... è come la neve, che ti piace tanto: d'estate sembra non esserci, essersene andata... ma è solo sopra la nostra testa, sotto forma di nuvole.
Io credo che noi facciamo parte di una specie di "tutto"... Le cose e le persone che incontriamo non ci lasceranno mai veramente...
Questo commento non centra qui... ehm... errore mio XD maledetta tecnologia! :D
:-)
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