Thursday, November 12

dormendo su erba dorata








Questa è una storia strana. C'è qualcuno, il protagonista, che sale per una strada in mezzo a un prato. C'è una leggera brezza. Tutt'intorno il paesaggio è luminoso come fosse il primo giorno sulla Terra.


È il primo giorno sulla Terra. H., il protagonista, non sa bene cosa fare. È un giorno nuovo, ma a lui sembra di aver già vissuto per così tanto tempo da aver esaurito le cose da fare.

Ma tant'è.

Se non si mette in moto, la paura lo bloccherà per sempre. La morsa della paura è una delle cose più temibili, soprattutto se è il primo giorno sulla Terra. H sembra saperlo, e lo sa pur senza averne esperienza, lo sa come si sanno le cose necessarie, lo sa con un'evidenza abbagliante.

Forse, prima ancora di esistere, aveva provato la vera paura che ti gela il sangue. Tutti l’avevano provata.

Tutti l’avevano già dentro da sempre.


Ora H è stordito dal colore intenso del paesaggio e delle cose intorno a lui, le guarda con lunghe occhiate mentre continua a camminare, ha quasi timore adesso, vede che tutto è meraviglioso e non sa proprio come fare per avere, fermare, abbracciare tutto questo che ha davanti agli occhi. Come fare anche soltanto a non farsi divorare da tanta meraviglia. Pensò che non sapeva come fare perchè nessuno gliel'aveva insegnato. Qualcuno forse un giorno lo avrebbe fatto.




***

Non c'è nessuno sulla strada di terra. Nessuno sul prato dorato. Non è più il primo giorno sulla Terra. Ormai ne sono passati tanti, di giorni, generazioni anche, e tante volte il sole è calato e poi tornato di nuovo, e pioggia neve vento hanno accarezzato l'erba, che è stata una volta verde e una volta gialla, e poi di nuovo terra marroncina. H cammina ora, ed è proprio un bel giorno fresco e soleggiato. I pini stanno nitidi in lontananza e il loro colore è talmente intenso che sembra blu invece che verde. H non ha trovato nessuno, che gli insegnasse tutte le cose che voleva sapere. certo, ha visto molte cose, e molta gente. Tante cose gli hanno insegnato e di diversi tipi. E tante cose ha imparato, e tra quelle anche come non aver paura, come far finta di niente quando tutto sembra crollare.

H l'aveva capito subito, che non era tutto lì. Mancavano tante cose. H aveva sorriso, quando questa cosa gli era balenata nella mente. Non sapeva perchè tendeva a sorridere quando gli succedeva di esser sfiorato qualcosa che non avrebbe mai compreso completamente. Questa era una delle cose che nessuno, nè H nè nessun altro sapevano, il primo giorno sulla terra. Questo perchè la cosa del sorridere era una delle cose sempre state, che per questo H aveva preso a chiamare cose-sempre. Ce n'erano veramente un'infinità, di cose-sempre, che accomunavano un’infinità di esseri umani diversi.

Era divertente scoprirne ogni giorno di nuove.

Così, quando H sorrise, con gli occhi a fessura verso i pini lontani, si accorse di non avere più paura.

Aveva imparato alcune cose sulla paura, e ora stava relativamente bene.

H aveva vissuto tanti giorni sulla terra e aveva trovato tante cose da fare, ma poi era sempre tornato sulla strada dove aveva camminato, stordito e spaventato, tanto tempo prima. La strada, del resto, era stata lì ad aspettarlo.

O almeno questo era quel che pensava H.

In realtà la strada era lì proprio come lui e ogni sasso e filo d'erba e pietruzza e grumo di terra aveva cambiato posizione un migliaio di volte durante la sua assenza, e la pioggia aveva spesso scavato solchi. E poi la strada non si faceva alcun problema rispetto a H e a tutto il resto. Aveva la sua personale felicità, di cui nè H nè nessun altro, tanto meno la strada stessa, sapevano nulla.

H invece aveva qualche problema. Aveva scoperto che le regole della terra erano rigide e questa rigidità e conformità alla legge di causa ed effetto, senza possibilità di errore, era chiamata logica dalle persone che vivevano sulla terra.

A volte era anche detta necessità, quando si voleva sottolinearne il carattere di assoluta consequenzialità, e irreversibilità nella maggioranza dei casi.

Era stato facile imparare quante cose fossero senza ritorno, anche se H ogni volta si sorprendeva di come le cose rimanessero impresse in lui anche dopo essersene andate.

Non erano più davanti agli occhi, eppure da qualche parte c'erano ancora. C'erano, senza alcun dubbio.

Questa era una delle cose che H non era mai riuscito a imparare. Che nessuno gli aveva mai insegnato.

H si arrovellava spesso su questo problema.

Perchè da qualche parte devono pur essere, le cose che non sono più.

Le persone. E le cose passate.

Quel giorno lontano, le risa, i volti, da qualche parte devono pur essere, se io le sento ancora qui.

Così ragionava H, e fu una delle prime cose su cui spese giorni interi a domandare.

Dov'è ora quello che è stato?


H non sapeva rispondere. Nonostante ciò, era un esemplare eccellente di essere umano. Oltre ad essere sopravvissuto egregiamente dal primo giorno, aveva aderito fin da subito alla necessità, cioè l'aveva vista come assolutamente chiara, ovvia, in una parola, logica. Non con tutti i suoi simili capitava lo stesso.

Tuttavia, c’era stato un tempo in cui H era inconsapevole. Sapeva tutto quello che c’era da sapere, sapeva che ci sono regole e leggi, non solo nel mondo delle convenzioni umane ma anche più in grande, nel mondo della vita, che è quello di animali, fiori, piante, sassi ed è anche il suo.

Le cose erano sempre andate così, e andavano bene. O meglio, andavano come dovevano andare.

Necessariamente.

H era tranquillo, razionale, a volte triste, ma tutto era d'altronde necessario e non ci si poteva fare nulla.

Sapeva tutto questo ma il problema era che non ne aveva mai avuto esempi concreti. Mai niente gli era passato così vicino da scuoterlo. Così, a guardar bene, H non sapeva in effetti un bel niente.



***

L’esempio capitò un giorno nella vita di H che lui avrebbe ricordato come uno dei più strani e tristi.

H aveva un amico, che non vedeva da tempo, a cui a volte pensava e che voleva da tempo rivedere.

Successe che non riuscì a rivederlo. L’aveva incrociato per caso poco tempo prima ma non potè parlargli, lo vide di sfuggita come un ombra. Poi non potè più vederlo. Mai più.

H si rese improvvisamente conto del significato di necessità solo ora così presente, vero e reale. L’amico non c’era più. Glielo dissero. H non riuscì mai a ripeterlo. Nè tantomeno riuscì a dire la parola. H sapeva quale parola.

Lo lesse, lo rilesse, lesse anche i ricordi di altri amici. Ne parlò con altre persone, ma era come parlare d’altro. H ci provò, a farsi entrare in testa quel mai più. Ma non riuscì a ripetere un bel niente. Questo succedeva molti anni prima, H era giovane e quel giorno imparò una cosa nuova. Era una cosa nuova e dolorosa. Faceva un male cane. Come un coltello piantato nella schiena. Se avesse dovuto dargli un colore sarebbe stato un verde scuro, indefinito, inesistente nello spettro cromatico.

Cercò soluzioni. Vie di fuga. Possibilità di salvezza. Ma la necessità gli si parava davanti inesorabile, solo adesso veramente chiara, e ogni volta era come correre contro un muro di mattoni sperando di poterlo attraversare.

Quel mai più era guidato dalla stessa identica logica che non permetteva a un corpo solido di passare attraverso un muro.



***

Quello fu l’esempio. H aveva scoperto una cosa-sempre di cui non si era mai accorto (o di cui mai prima d’allora aveva voluto accorgersi) e fu la cosa-sempre più brutta che H scoprì, durante la sua permanenza sulla Terra.

Tuttavia, H era pieno di dubbi. Infatti, a differenza delle altre, questa cosa-sempre non era così evidente.

Anzi la tendenza era a credere nel contrario. Agli occhi di H questa questione era divisa in due, due piani distinti.

In uno l’amico non c’era più, e nessuno l’avrebbe mai più rivisto.

Nell’altro l’amico era lì, da qualche parte, nel posto dove stanno le cose che non sono più. Ed è un posto reale, non una qualche strana idea eterea e impalpabile. H ne era convinto, contro ogni logica.

H era anche convinto di trovarsi nel primo dei due mondi da lui pensati, ma sapeva che c’era un modo per fare un giretto nel secondo. Doveva esserci. Forse si trattava solo di imparare come fare.

Così oggi, proprio oggi, H cammina su questa strada, e la strada è in mezzo a un prato, e il prato è spazzato dal vento leggero così come il volto di H. E ne ha viste di cose, H, ne ha vissuti di giorni così strani, furiosi, difficili e anche bellissimi che sembravano non dover mai finire, e a tutto è ormai abituato. Quel giorno strano in cui aveva conosciuto la nuova cosa-sempre è lontano, forse dimenticato, sommerso da mille altri giorni.

Ma oggi, proprio oggi che tutto sembra così normale H sta in realtà combattendo, ed è allo stremo, perchè non vuole più la stupidissima necessità. H la vuole abolire, la dannatissima necessità. Cammina tranquillo nonostante tutto, e intorno a lui una bellezza fuori di testa, che se fosse il primo giorno sulla terra ci sarebbe da impazzire. Ma non lo è, ormai è uno degli ultimi, di giorni, e la necessità preme, è lì, è solo qualche passo più avanti sulla strada marroncina dove H mette i piedi uno dopo l'altro.



***

Ora H ha abbandonato la strada e avanza sull’erba, e l’erba sembra non finire mai, sembra arrivare all’abisso, è gialla e fantastica così come fantastico è il rumore che fa quando H ci cammina. H pensa che tante cose possono non essere più un problema. Da oggi, non lo saranno più. H non ha paura. Qualcuno verrà, ora. Ci deve pur essere, una legge alternativa. Ci deve pur essere, una via di fuga.

H si ricordò dei giorni tristi, i più tristi di sempre, e per la prima volta la loro esistenza è qualcosa di reversibile. La loro necessità non c’è più. H può tornare a quei giorni e poi di nuovo andare avanti, e indietro e avanti continuamente.

La strada marroncina è lontana, ora. L’erba sembra non finire mai.

H non è più H.

H non è più nessuno.

H non ha più bisogno di maestri.

Pensa questo e altro ancora. Ma già ogni cosa diventa semplice. Ora si cammina senza fatica.


C’è un pettirosso che vola nell’aria pulita oltre la testa di H, e disegna cerchi dorati nel cielo blu. H lo segue con lo sguardo finchè non sparisce oltre l’orizzonte erboso del prato. Sta per distogliere gli occhi quando vede che c’è qualcun’altro, ora, che sbuca da quell'orizzonte erboso.

È l’amico. Gli viene incontro sull’erba scricchiolante. Guarda in basso, intento a camminare.

Alza lo sguardo, vede H, sorride, i capelli lunghi ora danzano nel vento, torna il pettirosso dalle ali lievi e si posa silenzioso sulla sua spalla. H non ha bisogno di parole. La strada è lontana, il sole fermo in mezzo al cielo.

Nessuno in questo strano, nuovo, incredibile giorno sulla terra, ha più bisogno di parole. H sorride a quegli occhi, non li aveva mai dimenticati. Erano tra le cose rimaste da qualche parte, impresse, incancellabili.

Quelle di cui H si era tanto domandato quando si chiedeva dove mai fossero andate le cose che non ci sono più. H si accorse in quel momento che lo aveva sempre saputo, dove si trovassero.

Lo sentiva come una delle cose-sempre. Era tornato sulla sua strada innumerevoli volte alla ricerca di quello che sembrava sparito.

Adesso il suo amico sta davanti a lui, sull’erba dorata, e dietro sono le sagome nitide delle montagne, immobili, colorate, ora non più terribili. E il suo sorridere è immobile nel tempo, è felicità pura, è come una corsa a perdifiato oltre ogni cosa del mondo.

Non ha più paura, H, non ne avrà mai più. Ha trovato il posto che cercava, dove stanno le cose che non sono più, e questo gli basta. Non ha più niente da dire, H. Non ci sono più parole per l’ultimo giorno sulla terra, così come non ce n’erano il primo.

H si muove verso l’orizzonte azzurro, sull’erba luccicante, come mercurio piede alato senza far rumore, avanza verso il suo amico che da là lo guarda col pettirosso sulla spalla, il vento sa di neve ora, e tutto, tutto è finalmente chiaro.





3 comments:

Giacomino said...

Se posso permettermi una riflessione... secondo me non esiste un posto per le cose che "non sono più", in quanto non è possibile per niente "non essere più". E' come la neve, che a te piace tanto. D'estate sembra che non ci sia, e invece è sopra le nostre teste, sotto forma di nuvole.

Noi facciamo parte di un tutto, almeno io penso. Ogni tanto arriva il vento e ci disperde, ci porta da qualche altra parte, in qualche altra cosa. Ma è tutto qui.

carlotta cortese (karloz) said...

...sì in effetti dal racconto sembra che un posto del genere esista, ma in realtà non ne sono certa e forse non lo credo neanch'io...o almeno non in questi termini, come un vero e proprio posto. Diciamo che ho iniziato a scrivere senza pensare e questo è il risultato....Più che altro era la cosa della necessità che mi assillava da un po' e dovevo darle voce :-)
Cmq le riflessioni sono sempre gradite. E poi mi piace la tua visione su questa cosa... :-)

Giacomino said...

Ma naturalmente, scrivi, scrivi.. che se ci pensi su poi non è la stessa cosa :D