Thursday, October 22

κἁθαρσις (katharsis)



Karloz K. è sconvolta.

Karloz K. non riesce a smettere di pensare e non vuole rassegnarsi.

Karloz K. è proprio sconvolta, ma non vuole dirlo.

Ci sono cose che muoiono, attorno a lei, cose che se ne vanno prima del tempo e altre che vanno via in perfetto orario secondo la legge che già conosciamo, ma a cui non vogliamo abituarci.

Sia l’una che l’altra di queste cose hanno rotto qualcosa, nell’equilibrio di Karloz K. . Adesso c’è rabbia, e avvolge tutto e tutto fa ruotare come un tornado, e lancia in giro pezzi sparsi, parole e ricordi che sembrano staccati da tutto. Sembrano veri. Da qualche parte sono sicuramente veri. Forse non nella nostra dimensione. E così K.K. cerca soluzioni, vie di fuga. Talvolta le crea dal nulla, vede che non stanno in piedi e le scarta. K.K. fa questo a tutte le ore del giorno, oltre a continuare a darsi schiaffi e pizzicotti sperando di svegliarsi.

Karloz K. stasera si accontenterà. Anche se ha sempre odiato accontentarsi. Odia anche arrendersi, smettere di tentare.

Ma K.K. adesso non può che odiare, proprio ora proprio qui, proprio in questo istante e in quell’altro, maledetto. Odia le cose che non vanno come dovrebbero andare. Ed è curioso, perchè le sembra di avere la testa chiusa in un sacchetto di plastica.

Karloz K. vorrebbe salire, correre su di un sentiero erboso facendo finta che non sia successo niente, come poco tempo fa poteva fare, perchè fino a ieri, solo fino a ieri poteva farlo. La montagna è tranquilla, ferma nell’azzurro. Ora anche il loro sguardo odia, pur sapendo che non può odiarlo; e questo incasina tutto; questo, tutto quello che viene dopo, è confusione massima. Lui non vorrebbe che le odiasse. A suo tempo, lui non le ha odiate. Loro hanno portato via in silenzio qualcosa di suo e lui per tutta risposta le ha amate ancora di più.

Ma ora K.K. non sopporta più le montagne dallo sguardo assente. È uno sguardo senza occhi e ora è improvvisamente invadente. È oltre ogni misura, è troppo troppo e troppo

***

K.K. vorrebbe essere felice per la prima spruzzata di neve là in alto. L’anno scorso nello stesso periodo ci aveva camminato, sulla prima spruzzata di neve.

Era scricchiolante. Era fredda. Meravigliosa.

K.K. era arrivata sulla cresta oltre la cima verde all’alba e il cielo era grigio e l’aria gelata, un vento freddo saliva dalla valle, e tutto era perfettamente nitido. E K.K. ricorda di aver riso e amato tanto quel vento assurdo mentre per la troppa aria gli occhi socchiusi le si riempivano di lacrime congelate, lacrime di felicità per quel vento e quel giorno appena iniziato e perchè in realtà stava morendo di freddo come al solito, una maglietta e il pile non sono ovviamente sufficienti e allora il lato sinistro è mezzo congelato, e l’aria che entra nei polmoni è troppo fredda, ma K.K. continua imperterrito a camminare sulla cresta, inciampando, e non smette di guardare quello stratino bianco su cui mette i piedi, e si stanno congelando anche quelli ma lei continua a ridere e non sa bene il perchè, ma sa che lui lo sa, il perchè, così come lo sa la parete là in alto, che ora si perde nel grigio del cielo. K.K. si ricorda troppe cose. Non sa se riuscirà ancora a salire quella cresta senza che lui le appaia davanti agli occhi, mentre corre verso lo spigolo con una corda messa a tracolla, come è stato in quella bella mattina di settembre. Perchè corresse nessuno mai lo saprà.

K.K. sa che dovrebbe lasciar andare. Dovrebbe smetterla. K.K. ha paura, ma non vuole più odiare.

Ora corre sulla cresta, e il vento le ha completamente congelato la parte sinistra della faccia, il braccio e tutto, e la neve scricchiola, e scivolano i piedi sull’erba che c’è sotto; e K.K. ride, o forse piange, perchè è convinta che tra un attimo tornerà giù, giù per la stradina di sassi, e arriverà al rifugio appena in tempo, arriverà prima che faccia buio, prima di non vederci più niente, ed entrerà dalla porta sul retro nella luce abbagliante della sala e tu sarai lì, al tavolo con la cena e con gli altri e sorriderai con gli occhi illuminati e riderai anche tu, mentre fuori è proprio buio ora, e freddo, e lo strato di neve se n’è andato già.

***

Con queste parole K.K. vuole lasciarti andare. Ti ha detto tutto questo perchè sapessi quanto fossi importante per noi; quanto il tuo esserci fosse qualcosa di già dato ma di essenziale come lo sono l’aria, l’acqua e qualunque elemento naturale; e che era un bambino quello che correva una mattina di settembre.

K.K. tornerà anche sulla cresta a salutarti, quando tutto questo sarà passato.

Guarderà la valle e la rabbia si scioglierà in silenzio, nell’aria fredda che sa di inverno e di legna bruciata.

Tutto questo, ogni nostra parola diverrà neve.

Guarderemo ancora in alto senza paura.




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